Anche nel Regno di Thailandia si reclama democrazia

Non solo in Bulgaria, dove da più di 100 giorni si chiedono le dimissioni del governo di Boyko Borissov e nuove elezioni; in Bielorussia, dal 9 agosto attraversata da manifestazioni che chiedono nuove e oneste elezioni; in Nigeria, dove da un mese moltitudini di giovani protestano contro una polizia storicamente violenta e crudele.

Anche nel sud-est asiatico da agosto scorso, un numero crescente di tailandesi riempie le strade e le piazze di Bangkok, chiedendo le dimissioni del Primo ministro, l’ex generale Prayuth Chan-Ocha, salito al potere con un colpo di stato nel 2014, il 19° in circa 80 anni, e confermato l’anno scorso da elezioni regolate da una nuova Costituzione, la 20° in circa 80 anni,  che stabilisce un Senato di 250 membri scelti dalla giunta militare. I manifestanti stanno chiedendo un cambiamento strutturale democratico del Paese, governato da una monarchia e da militari e burocrati che hanno alimentato corruzione, malaffare e profonde disuguaglianze. 

Una monarchia costituzionale solo sulla carta

La protesta sollevata a marzo nelle università, poi sospesa e ripresa a luglio, si è allargata ad ampie fasce della popolazione dopo la lettura pubblica delle 10 richieste “sulla via della vera monarchia costituzionale”. In sintesi, in appoggio ad un modello parlamentare eletto democraticamente i manifestanti thailandesi chiedono di limitare i poteri della monarchia, dal 1932 costituzionale solo nominalmente, quando un colpo di stato pose fine all’assolutismo e introdusse il governo militare nel paese. Ne è seguita una storia di colpi di stato sotto la continuità monarchica, e di rivolte di piazza ogni volta represse nel sangue, che caratterizza la Thailandia negli ultimi 80 anni, paese strategico per gli equilibri del Pacifico, confinante con Laos, Cambogia, Malaysia e Myanmar, e distante poco più di un’ora di volo dal Vietnam.  

Ma ora sembra che qualcosa di importante stia mutando. Nella cultura thailandese il focus dei dimostranti sulla monarchia segna un cambiamento epocale, diventato corale da quando rompendo gli indugi, si è infranta la venerazione che per secoli ha circondato la famiglia reale, pilastro della tradizione identitaria tailandese: il 14 ottobre scorso decine di manifestanti hanno circondato la gialla Rolls Royce reale, urlando che era stata pagata con i soldi delle tasse della gente. In molte dirette le critiche alla monarchia hanno messo in imbarazzo i media locali, che hanno tolto l’audio o interrotto il collegamento. La piazza ha sfidato la legge di lesa maestà, che prevede una pena dai 3 ai 15 anni di carcere per ogni singolo “insulto” a un membro della casa reale. 

In migliaia stanno anche invocando le dimissioni di Prayuth, che a sua volta ha dichiarato uno stato di emergenza rimasto inascoltato dalla folla, e quindi ritirato dopo pochi giorni.

La Germania

L’ondata di protesta si è riversata fino in Germania, per i lunghi soggiorni in Baviera del sessantottenne re thailandese Maha Vajiralongkom, Rama X, resi possibili da una modifica costituzionale che non prevede più di nominare un reggente quando il sovrano si allontana dal paese. 

Rama X, che ha trasferito per decreto i beni della casa reale, stimati circa 40 mld di dollari, ed alcuni reparti militari sotto il suo controllo, ha vissuto a lungo in Germania, fino al 2016, quando è succeduto al padre, regnante per 70 anni.

All’ambasciata tedesca di Bangkok i manifestanti hanno presentato una richiesta formale di apertura indagini per verificare se Rama X abbia esercitato il suo potere politico dal suolo tedesco, nella cui eventualità si prospetta una violazione di sovranità territoriale della Germania. 

La questione era già stata sollevata durante una interrogazione parlamentare al Ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, che dichiarandosi preoccupato per le eventuali attività politiche del re thailandese, ha definito inaccettabile la possibilità che un capo di uno Stato conduca attività politica da un altro Paese. La situazione ora è sotto l’occhio del governo tedesco, che nonostante le reiterate rassicurazioni ufficiali della Thailandia, sta verificando eventuali comportamenti illegali, che se accertati avranno conseguenze immediate, la cui portata al momento si può solo immaginare.

Il gioco delle contromanifestazioni

Intanto nelle vie di Bangkok sono comparse contromanifestazioni organizzate dai lealisti alla monarchia, le camice gialle, infiltrate da elementi dei reparti militari di élite direttamente controllati dal re, che lanciano provocazioni al movimento che chiede democrazia e ha recuperato la memoria delle camice rosse, gli ultimi promotori temporali di grandi proteste, all’epoca contro i risultati elettorali del post colpo di stato del 2006, represse nel 2010 con decine di manifestanti uccisi dai reparti comandati proprio da Prayuth.  

Il pericolo è che la polarizzazione e gli scontri di piazza siano spinti agli estremi per giustificare il ritorno di un governo militare, capitolo già visto tante volte in Thailandia.

Nella seduta speciale del Parlamento Prayuth ha chiesto di “trovare creativamente un equilibrio” tra opinioni contrastanti, ma il sospetto diffuso è che questo sia solo un espediente per prendere tempo per non cambiare nulla e continuare ad occupare uno scranno che in migliaia gli stanno chiedendo di lasciare. 

Un’ondata che non si ferma

La piazza prosegue la sua battaglia, supportata dalla comunicazione tecnologica e contrastata dalle forze militari, mentre il paese continua ad essere strangolato dalla crisi economica e da profonde ingiustizie e disparità sociali. A sottolineare le contraddizioni profonde di questo paese, Prayuth presiederà a breve alla firma del contratto 2.3 del valore di circa 1,5 miliardi di dollari tra State Railways of Thailand, China Railway International Co e China Railway Designi Co, per il progetto di una linea ferroviaria di alta velocità di 253 km con 6 stazioni tra Bangkok  e la città di Nakhou  Tatchasima, da realizzare in 64 mesi. 

Intanto, il Fondo Monetario Internazionale prevede per la Thailandia nel 2020 una contrazione dell’economia del 7%, che è prevalentemente agricola e figura tra i principali produttori mondiali di manioca, riso e caucciù.

Giovanna Visco

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