Zimbabwe: lotta di liberazione dal segregazionismo

Safari, parchi, cascate: la savana dello Zimbabwe è un’icona perfetta per il turismo ricco e consumistico, ma dietro la facciata, si estende un paese divorato da una lunga storia di spietato colonialismo.

Una terra promessa
Formato da altopiani in media di 1000/1500 metri s.l.m., senza sbocco sul mare, in prevalenza ricco di acqua ed attraversato da due grandi fiumi, lo Zambesi e il Limpopo, lo Zimbabwe ha terra fertile, foreste di legni pregiati, in gran parte distrutte per deforestazione commerciale e agricola, ed un sottosuolo con importanti giacimenti minerari, tra cui platino e diamanti: una sorta di terra promessa per il capitalismo imperialista del XIX secolo.
  L’intreccio storico dello Zimbabwe con l’Occidente ha il suo punto di non ritorno sul finire dell’Ottocento, quando l’avventuriero Cecil Rhodes della British South Africa Company riuscì a spuntare un’ampia concessione mineraria dal re Lobengula del regno Ndebele

L’incubo del segregazionismo
Come da fonte Saho, di lì a poco, alla morte del re Lobengula, Rhodes si estese militarmente a macchia d’olio in tutto il regno, conteso con i portoghesi – insediatisi poi in Mozambico fino al 1975. Sobillò ed armò gruppi locali contro il regno Ndebele ed immensi territori entrarono così nel dominio coloniale della Gran Bretagna. 

Rhodes, da cui Rhodesia, soffocò a colpi di mitragliatrice la fiera opposizione degli abitanti Ndebele-Zulu e Shona-Bantu al colonialismo britannico, instaurando un regime fortemente segregazionista e razzista. 
Le popolazioni furono estromesse da qualsiasi forma di governo e rinchiuse in riserve. Immensi territori furono occupati da una manciata di latifondisti bianchi: intorno al 1922 il 64% gli shona e i ndebele erano segregati nelle riserve. 
Senza più terra, strozzati da un sistema vessatorio esercitato persino con la tassa sulla capanna, privati di qualsiasi diritto e ridotti a manovalanza a bassissimo costo, gli zimbabwani hanno resistito, fino a riconquistare il proprio Paese. 

La risalita

La risalita, che porterà alla proclamazione della Repubblica di Zimbabwe con capitale Harare, trova linfa nelle spinte antisegregazioniste del Ghana, indipendente dal 1957, del Malawi e dello Zambia (paese confinante) diventati indipendenti dal 1964. 
Questo perché Ghana, Malawi, Zambia e Zimbabwe formavano insieme la Federazione coloniale della Rhodesia e del Nyasaland, istituita dal Regno Unito nel 1953. 
Ma a differenza degli altri 3 Paesi che si avviavano all’indipendenza, il movimento di liberazione dello Zimbabwe dovette scontrarsi con il pervicace segregazionismo della sparuta minoranza bianca alla guida del Paese, che contro la volontà di ONU e dello stesso Regno Unito, nel tentativo di conservare il potere, nel 1965 dichiara unilateralmente l’indipendenza della Repubblica di Rhodesia

Da qui, 15 anni di guerra sanguinosa, con il coinvolgimento del Mozambico e del Sud Africa (paesi confinanti), fino ad arrivare al 1980, quando il plurilaureato Robert Gabriel Mugabe, leader del partito di impostazione marxista Zanu PF e del movimento di liberazione del Paese, stravincendo le elezioni, diviene il primo ministro dello Zimbabwe indipendente. 

Un processo di indipendenza difficile
Nonostante i gravi problemi, le crisi e le instabilità del processo di indipendenza economica del Paese, Mugabe dal 1987 ha ricoperto ininterrottamente il ruolo di Presidente dello Zimbabwe fino al 21 novembre 2017, quando a 93 anni, ormai egemonizzato dal governo ombra della moglie Grace Mugabe (fonte The Guardian), è stato  rimosso, militarmente ma in modo incruento, dal suo vice e braccio destro Emmerson Mnangagwa, 75 anni, con l’ampio sostegno della gran parte dei 17 milioni di abitanti del Paese.

Il Presidente Mnangaawa e l’eredità di Mugabe
Mnangagwa ha dichiarato alla Bbc Africa di essere “morbido come lana, molto dolce nella vita, una persona di famiglia, un cristiano”, ma nel paese l’opposizione lo ha soprannominato Ngwena, che significa  coccodrillo, e Team Lacoste i suoi sostenitori, per il coccodrillo che contraddistingue il marchio della nota azienda francese (fonte Reuters).

Mugabe lascia tracce indelebili nella storia e nella cultura africana: una per tutte la riforma agraria, con la quale, intervenendo strutturalmente nel sistema di accumulazione colonialista, ha varato un processo di ridistribuzione della terra, normato definitivamente nel 2000, ma iniziato sin dopo la sua clamorosa vittoria e del suo partito Zanu-PF alle elezioni del 1990. 

L’agricoltura una delle principali ricchezze dello Zimbabwe 
L’agricoltura è una delle principali ricchezze del Paese, ed il suo controllo economico ed occupazionale è stato punto fondamentale per spezzare il sistema coloniale, ed iniziare  un percorso di indipendenza e di fuoriuscita dalla persistente povertà della popolazione.  

La riforma agraria di Mugabe è stata una scelta politica auspicata dalla gran parte del Paese, dopo il conclamato fallimento della libera compravendita per il passaggio di terre coltivabili dai bianchi ai neri, prevista nell’Accordo di Lancaster House del 1979. 
Tale Accordo  si integrava alla proibizione di nazionalizzare la terra rimasta in vigore fino al 1990, condizione imposta dall’Occidente con la proclamazione dello Stato indipendente dello Zimbabwe: la compravendita di terra si sarebbe dovuta realizzare con il finanziamento della Gran Bretagna agli agricoltori neri. 

Tale progetto non fu mai avviato, per la forte resistenza dei bianchi a cedere terra. 
A fine anni ’90 il paese pullulava di scioperi generali e di rivolte. Le proteste erano contro il carovita e le condizioni di vita sempre peggiori. 
Tale drammatica situazione nasceva principalmente dagli aggiustamenti economici strutturali, avviati nel 1991nel Paese su richiesta del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e della Banca Mondiale, che avevano condizionato gli aiuti finanziari, che incrementano il debito, a tagli della spesa pubblica e a licenziamenti; a liberalizzazione e apertura al libero scambio; a tagli delle tasse, a democratizzazione del sistema politico.

L’iper inflazione
Tutto ciò molto presto si tradusse in ulteriori sofferenze per la popolazione ed in forte aumento del debito pubblico. 
Al sopraggiungere della siccità, che produsse un rincaro dei beni di prima necessità, molti zimbabwani, tra i quali i veterani di guerra, cominciano ad occupare autonomamente i terreni agricoli, mentre il governo incrementa la stampa di banconote per affrontare le spese. 
Rapidamente si genera una iper inflazione, sfociata nel 1999 nell’impossibilità di coprire i prestiti ricevuti da FMI e dalla Banca Mondiale. 
In quello stesso anno, si forma il partito di opposizione Movement for Democratic Change (MDC), guidato da Morgan Tsvangirai, a cui è succeduto Nelson Chamisa
Il terzo Chimurenga
Nelle elezioni del 2000, funestate dalla violenza, solo per un pelo lo ZANU-PF  ne esce vincitore con il 48,6% dei voti. 
Il neo governo vara la riforma agraria, nota come il terzo Chimurenga, che in lingua shona significa lotta rivoluzionaria, proseguendo intanto ad autofinanziarsi con la stampa di banconote, che nel 2010 porteranno i dollari zimbabwani alla sospensione definitiva dal mercato a favore del dollaro USA.  

Giovanna Visco

NB: questo articolo è stato scritto il 2 novembre 2018

Foto di copertina iStock

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