Turchia nuovo orizzonte della globalizzazione

Nel centenario della fondazione della Repubblica di Turchia, che ricorrerà il prossimo ottobre, Erdogan con oltre il 52% dei voti ottenuti al ballottaggio, ha inaugurato il suo terzo mandato di presidente. Dopo vent’anni di permanenza ai massimi vertici del paese, aperti come  primo ministro dal 2003 al 2014, questa riconferma gli assicura la prosecuzione alla guida del paese fino al 2028. Da tempo la Turchia attraversa una stagione di rinascita, pur tra luci e ombre, che dovrebbe culminare nel “secolo turco” annunciato da Erdogan, un progetto visionario economico, sociale e culturale per rendere il paese più sviluppato e più forte. Punto di forza principale è la sua posizione geografica, tra il Mar Nero e il Mar Egeo, tra l’Asia occidentale e l’Europa orientale, divenuta sempre più strategica per la diversificazione delle catene di approvvigionamento della economia globalizzata, ora focalizzata sull’integrazione di sistemi regionalizzati. In tale scenario, la Turchia è sempre più determinante rispetto al triangolo Europa-Asia-Africa, sia logisticamente sia geopoliticamente, nel ruolo di mediatore globale, come nel caso della Black Sea Grain Iniziative.

Il Fondo Monetario Internazionale

Il percorso di crescita seguito dalla Turchia è fortemente dettato dalle politiche di Erdogan, esordite, dopo la vittoria elettorale del suo partito AK Party nel 2002, con il suo primo incarico di primo ministro l’anno successivo, in coincidenza all’allentamento di una dura austerità imposta al paese da un programma FMI, intervenuto nel crollo finanziario negli anni ’90, che aveva portato il paese a una inflazione a tre cifre. È qui che batte il cuore delle politiche economiche non ortodosse di Erdogan, tese a tenere ben chiuso in Turchia il libro FMI, che “non verrà più riaperto”. Ma, inevitabilmente, lo sviluppo del paese, forte importatore energetico e forte esportatore manifatturiero, è esposto ai venti e alle ciclicità internazionali, economiche, finanziarie, politiche e sanitarie.

Inflazione e crescita

Per impedire contagi recessivi post covid e salvaguardare la crescita economica e lo sviluppo infrastrutturale del paese, a fine 2021 Erdogan avvia una politica monetaria non ortodossa di taglio dei tassi di interesse, in controcorrente a quella occidentale. La contropartita è stata una veloce e progressiva svalutazione della lira turca, che ha sollevato un violento turbinio inflazionistico nel paese. Dopo aver oltrepassato la soglia dell’85% in ottobre 2022,  da allora l’indice inflattivo è in discesa consecutiva, raggiungendo a maggio scorso un tasso del 39.6%, il livello più basso da dicembre 2021. Forte di un debito pubblico contenuto (31,70% a dicembre 2022) e con una visione multipolare del mondo che mette insieme Nato e Russia, Cina ed EU, Africa e Asia, la Turchia ha messo in campo un mix di interventi monetari, finanziari e socioeconomici a favore di imprese e investimenti e della popolazione di oltre 85 milioni di abitanti, di cui circa la metà al di sotto dei 30 anni. Tra gli interventi, l’impiego delle riserve in valuta estera per calmare i mercati, un meccanismo di protezione dei depositi in lire dal deprezzamento, il raddoppio del salario minimo negli ultimi 18 mesi, che non ha fatto disperdere i miglioramenti costanti in assistenza sanitaria, infrastrutture e accesso al mercato.

Negli ultimi due anni il tasso di disoccupazione è sceso dal 14 al 10%, per effetto di una crescita economica consecutiva negli ultimi 11 trimestri, che non è stata arrestata nemmeno dal devastante  terremoto dello scorso 6  febbraio. Nel primo trimestre 2023, infatti, la Turchia ha segnato +4% (dato TUIK) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, posizionandosi al secondo posto dopo l’Irlanda nella graduatoria OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico)  e al terzo in quella dei paesi G20, preceduta solo da Indonesia (5%) e Cina (4,5%). 

Il gas turco

Adesso, con il suo esordio anche nel mercato energetico, le sue prospettive di crescita diventano ancor più promettenti. Lo scorso aprile sono entrati in produzione i primi 3 pozzi offshore di gas naturale dell’enorme giacimento sottomarino turco di Sakarya nel Mar Nero, scoperto appena due anni fa e sviluppato da un consorzio formato dalla statunitense Schlumberger Ltd e dalla lussemburghese Subsea7, aggiudicato dalla Turkish Petroleum. Si tratta di una svolta decisiva, che spezza l’atavica dipendenza energetica del paese, che nel solo 2022, da stime  AIE,  ha importato per il 99% del suo fabbisogno, pari a 80 miliardi di dollari. La crescita industriale manifatturiera turca può quindi cominciare a  contare in prospettiva su un costo energetico basso e il governo ha già iniziato una politica di taglio del caro bollette, a favore di imprese e famiglie. Parallelamente, l’estrazione di gas apre al paese nuove prospettive di cooperazione logistica, prese al volo dalla Russia, che recentemente gli ha avanzato la proposta di realizzazione di un hub energetico.

Il Piano generale per i trasporti e la logistica

Del resto, la logistica è la strategia chiave della Turchia, che ha delineato nel  “Piano generale per i trasporti e la logistica”. Con orizzonte 2053 e un valore di 153 miliardi di dollari, il Piano varato poco più di un anno fa, è lo strumento con cui Erdogan intende trasformare il paese in una “superpotenza logistica di una vasta geografia che si estende da Londra a Pechino e dalla Siberia al Sudafrica”, integrata con i corridoi europei e asiatici. Tra i suoi punti fondanti, c’è  la realizzazione del Kanal Istanbul – canale artificiale di collegamento tra il Mar Marmara e il Mar Nero alternativo al Bosforo, contestato dagli ambientalisti, ma la cui realizzazione è sempre più vicina – e l’intermodalità, per spostare quote crescenti di merci su ferro. In particolare,  la Turchia punta allo sviluppo del Middle Corridor (TITR), la rotta multimodale e multilaterale transcaspica per i collegamenti terrestri container, che collega la Cina all’Europa in alternativa al Corridoio Settentrionale transiberiano russo, messo in crisi dalle sanzioni per il conflitto ucraino. Il TITR si sta progressivamente sviluppando grazie agli accordi e alla recente joint venture tra Azerbaigian, Georgia, Kazakistan e Turchia, e alle compagnie di navigazione che, come Maersk, stanno implementando linee di collegamento tra i porti del Mar Caspio e tra quelli del Mar Nero. Finora il flusso commerciale tedesco è stato determinante per il trasporto merci ferroviario Asia-Europa, ma il Middle Corridor apre nuove prospettive basate sullo sviluppo regionale, vista la centralità della Turchia rispetto ai suoi numerosi vicini (Grecia, Bulgaria, Georgia, Armenia, Azerbaigian, Iran, Iraq e Siria). A tal riguardo, è significativo il recente lancio iracheno della Development Road, il progetto che collegherà alla Turchia i porti sul Golfo Persico di Faw Grand Port, da tempo in progettazione, e di Umm Qasr, attraverso una doppia linea ferroviaria AC/AV (a pieno regime avrà una capacità di trasporto fino a 7,5 milioni di container e 33 milioni di tonnellate di merce) e una autostrada di circa 1.200 km, che attraverserà nove province irachene

In generale, il Piano si innesta su un processo di espansione infrastrutturale già avviato da tempo, e prevede di traguardare 28.590 km di rete ferroviaria, 8.325 km (da 3.633) di rete  autostradale e 38.060 km (da 28.650) di strada a  doppia carreggiata, la costruzione di 38 nuovi porti arrivando a 255 per movimentare complessivamente circa 421 milioni di tonnellate di merci, e di 5 aeroporti, che arriveranno a 61 (nel 2021 l’aviotrasportato merci della Turkish Airlines è cresciuto del 46% in entrate e del 26% in volume). Una tale innervazione logistica risponde alle complesse esigenze del paese, che deve sostenere la crescita dell’import di materie prime e  semilavorati per la sua industria manifatturiera, provenienti soprattutto dall’Asia orientale, dell’export di prodotti finiti e beni intermedi destinati prevalentemente ai mercati europei e nordamericani, che trainano di riflesso numerosi progetti di investimento nell’industria degli imballaggi, e del transito merci proponendosi come piattaforma di collegamento.

L’integrazione del paese nella catena di approvvigionamento globale lo rende catalizzatore di ingenti investimenti, come la costruzione del più grande sito di produzione di batterie per veicoli elettrici, che entrerà in produzione nel 2025, joint tra la sudcoreana SK Innovation, la statunitense Ford e la società turca Koc Holding. Allo stesso tempo, ne fa uno dei principali riferimenti per la creazione dei sistemi regionalizzati, come nel caso del manifatturiero tessile. Questo settore  esporta principalmente nei paesi EU, ma la sua catena di fornitura di materiali intermedi, sebbene la Cina ne continui a detenere la principale quota (19% dell’offerta totale nel 2021), invece si sta gradualmente spostando dal sud est asiatico a paesi geograficamente più vicini, come Egitto e Uzbekistan, supportati da accordi di semplificazione doganale e dalla digitalizzazione.

Altro fattore di sviluppo perseguito dalle politiche del governo è l’incremento competitivo attraverso l’impiego di tecnologie avanzate e della digitalizzazione nei processi produttivi di beni trainanti, quali macchinari, semiconduttori, aerospaziali, difesa, trasporti, IT, elettronica, chimica e farmaceutica. Più che sottrarre quote di mercato ad altri paesi, l’intento della Turchia appare essere quello di offrire opzioni diverse agli sviluppatori di progetti, per  posizionarsi significativamente nelle catene di approvvigionamento multiregionali. Una architettura mirata alla crescita costante dell’export, necessario anche per incamerare preziosa valuta estera, utile a tamponare la perdita di valore della lira turca. Export non solo commerciale ma anche di  know-how, specie verso i paesi africani, per la realizzazione di grandi opere,  come il nuovo aeroporto di Dakar.

Gli investitori logistici esteri

In tale dinamicità, i principali gruppi globali di logistica mostrano costante interesse a posizionarsi nel paese. Tra i più recenti, il gruppo AD Ports di Abu Dhabi ha sottoscritto un  memorandum d’intesa con Tosyalı Holding, il principale produttore privato ​​di acciaio turco (oltre 10 milioni di tonnellate annue) insediato presso il porto di Iskenderun e  coinvolto nel nuovo porto di Erzin. La caduta della produzione ucraina a causa della guerra, sta espandendo le esportazioni turche di prodotti siderurgici, e l’intesa tra i due gruppi di fatto  rafforza anche le relazioni commerciali non petrolifere, in forte crescita, della Turchia con Emirati Arabi Uniti.

Anche il gruppo di Singapore PSA sta estendendo la sua portata in Turchia, con l’acquisizione attraverso la sua controllata PSA BDP, del 75% della grande impresa familiare turca Alisan Logistics, specializzata nella logistica  di prodotti agroalimentari, di largo consumo, chimici e di automotive, con 39 magazzini, 1.600 dipendenti e 38 anni di storia aziendale.

Il più alto volume export di sempre

Tutto ciò sta strutturando una salda capacità di resilienza nel paese, tanto da riuscire a superare anche pesanti cataclismi, come il terremoto dello scorso febbraio nel sud del paese,  che ha ucciso oltre 50.000 persone,  distrutto città e causato gravi danni ferroviari e stradali nella regione industriale di Gaziantep, al confine tra Turchia e Siria, e al porto di Iskenderun, uno dei più grandi del paese con una movimentazione  di 67,6 milioni di tonnellate di merci nel 2022. La ricostruzione ora è nell’agenda del governo, ma intanto lo scorso maggio il paese ha registrato il più alto volume di esportazioni di tutti i tempi, cresciuto  secondo il ministero del commercio del 14,4%, raggiungendo complessivamente un valore di 21,7 miliardi di dollari, accompagnato dalla crescita della produzione industriale (lo scorso marzo a +5,5% su febbraio) e del settore minerario e cave (+3%). Dati che confermano la Turchia il baricentro logistico dei nuovi orizzonti  della globalizzazione.  (Giovanna Visco)

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