Nagorno-Karabakh, una guerra che va oltre il perimetro azero-armeno

Le tensioni insorte nel 1988 tra separatisti armeni e quella che sarebbe diventata Repubblica dell’Azerbaigian, nel 1991 con il crollo dell’Urss, precipitarono.

L’occupazione armena del Nagorno-Karaback

Gli armeni varcarono i confini entrando nell’Azerbaigian, per occupare militarmente la provincia di Nagorno-Karabakh, enclave a maggioranza armena, e 7 regioni circostanti, scacciandone la popolazione insediata. Ne è insorto un conflitto permanente, con scontri bellici intermittenti, con 30.000 morti e oltre un milione di sfollati solo nei primi due anni di guerra. Da quasi 30 anni l’Armenia occupa circa il 20% del territorio azero, nonostante la richiesta di ritiro di 4 risoluzioni del Consiglio sicurezza ONU e 2 dell’Assemblea generale. In questa regione a cavallo tra Europa e Asia si è creata una polveriera, che il 27 settembre scorso è esplosa con inusitata violenza, per l’impiego di tecnologie militari super moderne, che hanno mietuto centinaia di vittime civili e militari e prodotto molti profughi in pochi giorni.

Ufficialmente alla base degli scontri ci sarebbero rivendicazioni etniche, costellate di crudeltà e violenze reciproche, ma sopra le ceneri ormai solidificate delle due ex repubbliche sovietiche, nuovi investimenti transfrontalieri e equilibri geopolitici circostanti, allargano le ragioni del conflitto ben oltre il perimetro dei due contendenti. 

Le partita delle infrastrutture energetiche

Tra questi, lo strategico Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline TANAP, il gasdotto inaugurato nel 2018 dall’Azerbaijan che via Georgia e Turchia arriva in Europa, disturbando la posizione dominante di Mosca sul mercato energetico europeo. Le scaramucce a luglio scorso provocate dagli armeni, prologo dei tragici sviluppi di fine settembre, sono avvenute a 30-40 km dalle infrastrutture energetiche strategiche dell’Azerbaigian, molto distanti dal Nagorno-Karabakh. Un attacco al TANAP potrebbe rafforzare il gasdotto Nord Stream 2, che dalla costa russa di San Pietroburgo arriva in Germania, bypassando l’Ucraina. Questo progetto, molto osteggiato da Stati Uniti e da molti paesi UE, eccetto Francia e Germania, e coinvolto nella vicenda dell’avvelenamento del leader di opposizione russo Aleksei Navalny, al momento è bloccato dalle sanzioni Usa, che stanno impedendo il completamento dei suoi 80 km finali. Nell’opinione pubblica azera è diffusa l’idea che la ripresa del conflitto Nagorno-Karabakh sia da attribuire alla mano russa, comandata da Putin che ha delega diretta sulla politica energetica dello Stato, che al di là dei cospicui profitti, usa come arma politica verso le ex repubbliche sovietiche e verso i paesi che si affacciano sul Mar Nero, squilibrando l’UE. 

Il ruolo del Minsk e della Russia

Il momento in cui stanno avvenendo i combattimenti tra i due paesi è contraddistinto dalla pandemia Covid-19, che ha allentato l’attenzione internazionale e del forum Minsk, costituito nel 1992 in ambito OCSE a guida Francia, Russia e Stati Uniti, per il dialogo e la pace tra le due parti, il cui risultato principale resta il cessate il fuoco del 1994. 

Dopo la condanna dei combattimenti  di Trump, Putin e  Macron e la loro richiesta di immediata ripresa dei negoziati per la risoluzione pacifica del conflitto, si è svolto un incontro a Mosca su invito di Putin tra i ministri degli esteri armeno, azero e russo, che ha stabilito, per motivi umanitari di scambio dei prigionieri e recupero dei caduti, di sospendere i combattimenti oggi sabato 10 ottobre dalle ore 12. A fare da sfondo all’incontro l’avvertimento di Putin sull’obbligo russo di mantenere il patto di mutua difesa con l’Armenia se i combattimenti dovessero coinvolgere territori armeni.

Se ne vedranno gli sviluppi prossimamente, considerando che gli Stati Uniti in questo momento sono presi dalle imminenti elezioni presidenziali, il mandato del segretario generale OCSE in Europa è scaduto a luglio e non è stato ancora rinnovato, e la diffidenza di Baku per il condizionamento esercitato dalle grandi comunità armene sui tre paesi del Minsk in cui vivono.

La Turchia

Ufficialmente nessuno si è schierato ancora da una parte o dall’altra, eccetto la Turchia, che dopo le scaramucce di luglio, ha organizzato estese esercitazioni militari congiunte in Azerbaigian, a cui sono seguiti gli attacchi azeri alle postazioni armene a fine settembre, degenerati in guerra totale. 

Alcune fonti segnalano, confermato da Erdogan, il trasferimento in Azerbaigian di combattenti siriani assoldati dalla Turchia, con funzione di protezione delle infrastrutture azene, mentre l’Armenia starebbe addestrando combattenti curdi siriani da dispiegare nei territori occupati e ha ricevuto i mercenari russi dell’organizzazione paramilitare Wagner Group, impiegati anche in Siria e Libia. Questo salto di livello del conflitto fa intravvedere ad alcuni osservatori, il rischio di uno scontro diretto Russia–Turchia per l’egemonia nel Caucaso Meridionale.

Le divisioni religiose

Armeni cristani, azeri sciiti, siriani sunniti, le religioni in questa area sono fattori profondamente divisivi. Nel 1999 l’ascesa dei sunnismo armato ceceno minò la sicurezza nazionale russa, quando 2 villaggi in Daghestan al confine con l’Azerbaigian furono presi e fu proclamata la sharia. Il coinvolgimento russo nel conflitto siriano aveva tra i suoi scopi anche quello di impedire il rientro in patria dei ceceni islamisti andati a combattere in Siria, e scongiurare la formazione di un corridoio jiadista Siria-Caucaso Meridionale di difficile controllo. 

Invece, in Turchia, che ha sventato un tentato di colpo di stato il 15 luglio scorso, molti gruppi salafiti stanno polarizzando le questioni religiose e, come riporta Al Monitor, si stanno armando privatamente, grazie al contrabbando di armi da Siria e Iraq.

L’Iran

Anche nell’altro grande vicino, l’Iran, qualcosa sta cambiando: il crescere del sostegno al diritto di salvaguardare la sovranità e l’integrità territoriale dell’Azerbaigian nell’opinione pubblica e nel clero in contrasto con il presidente Hassan Rouhani, costretto ad abbandonare la posizione favorevole all’Armenia, per una più neutrale. Su questo orientamento pesa anche l’avvicinamento dell’Armenia a Israele, consacrata l’anno scorso con l’apertura dell’ambasciata a Tel Aviv, cha ha sorvolato sul vecchio rancore per il mancato  riconoscimento da parte israeliana del genocidio armeno perpetrato dall’impero ottomano nel 1915. Questo è causa di ulteriore preoccupazione dell’Iran per la propria sicurezza nazionale.

Nel nord ovest iraniano risiedono circa 20 milioni di turchi azeri, divisi dal trattato Gulistan dopo la guerra russo-persiana nel 1813, ed il timore del governo iraniano è che una riconquista territoriale azera potrebbe infiammare mire separatiste. E’ memore degli accenni alla riunificazione etnica della regione espressi dal presidente dell’Azerbaigian, Ilham Heydar, al suo insediamento circa 20 anni fa, che spinsero l’Iran a stringere i rapporti con l’Armenia, con la quale condivide 35 km di linea di confine, con reciproco vantaggio. Intanto ha dispiegato carri armati e truppe al confine con il Nagorno-Karabakh.

L’Armenia dilaniata dalla crisi sociale ed economica

L’Armenia dilaniata da una crisi sociale aggravatasi con il coronavirus, è guidata dal primo ministro Nikol Pashinyan al potere dal 2018 a seguito della Rivoluzione di Velluto, che aveva riscosso l’appoggio di Ue, Russia e Usa per l’impostazione moderata e pacifista. Ma non è così per l’Azerbaigian, che invece lo vede bellicoso e nazionalista, anche per il discorso pan-armeno di circa un anno fa intitolato “Il Karabakh è l’Armenia”.

Infine, il ministro armeno della difesa Tonoyan nel 2019 ha respinto la formula “terra per la pace dell’Azerbaigian”, per sostenere quella di una nuova guerra per nuovi territori, per scoraggiare la riconquista azera dei territori che gli spettano di diritto e mantenere la possibilità di acquisirne di nuovi. 

I signori delle armi

Per 25 anni Armenia e Azerbaigian hanno vissuto un conflitto caratterizzato da relativa parità militare. Ma i proventi petroliferi hanno permesso a Baku di potenziare significativamente le proprie forze, come l’impiego di droni turchi Bayraktar TB2 dagli effetti devastanti.

Mosca vende armi ad entrambi, Israele all’Azerbaigian, secondo lo Stockholm International Peace Research Institute dal 2006 al 2019 per un valore di 825 milioni di dollari, con grave disappunto armeno che ha ritirato l’ambasciatore da Tel Aviv, che invece ha bisogno dell’Azerbaigian per monitorare l’Iran ed usare all’occorrenza le basi aereonautiche azere.

L’Azerbaigian ha anche iniziato a sviluppare una propria industria delle armi, utilizzando tecnologia straniera di Israele, Sudafrica e Turchia. 

In tutti questi anni sono stati proclamati diversi imbarchi contro la vendita di armi ad Armenia e Azerbaigian, nel tentativo di spegnere le ostilità, ma nulla finora è riuscito a fermare i signori delle armi.

Giovanna Visco

Foto di copertina di EPA, EPA 

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