È inarrestabile come un fiume in piena la protesta degli agricoltori indiani, che si è trasformata in Delhi chalo, la marcia dei contadini provenienti da tutto il paese sulle cinque autostrade che portano a Nuova Delhi. Con camion, trattori o a piedi gli agricoltori hanno superato le barricate e trincee sulle autostrade messe in opera dalla polizia, nel tentativo di fermare migliaia di persone, che non arretrano nemmeno sotto i colpi dei lacrimogeni e dei cannoni d’acqua.
Il motivo è la protesta contro la riforma della agricoltura indiana, proposta dal governo di Narendra Modi ed approvata dal Parlamento a settembre scorso, che deregolamenta tutto il settore, aprendolo al libero mercato.
I numeri della agricoltura indiana
Sebbene l’apporto al Pil del paese di circa 3 trilioni di dollari negli ultimi 30 anni si sia sempre più assottigliato rappresentandone attualmente solo il 15%, l’agricoltura occupa circa il 60% della popolazione dell’India, di 1,3 miliardi di persone.
L’86% degli agricoltori possiede appezzamenti che non arrivano ai 2 ettari né dispongono di strutture di stoccaggio. Da decenni combattono la siccità che compromette i raccolti ed esaspera l’indebitamento che coinvolge oltre la metà dei contadini. La situazione è così difficile che solo nel 2019 si sono suicidati circa 10.300 agricoltori e braccianti.
Il sistema agricolo indiano
La riforma interviene in tale contesto, modificando profondamente il sistema agricolo indiano basato sulla obbligatorietà per i produttori di vendere i propri prodotti nei mundis, mercati regolati da leggi statali, intermediati da soggetti che facilitavano le transazioni tra gli agricoltori e l’azienda statale o gli operatori privati. Questo meccanismo era ancorato agli ad un prezzo minimo di sostegno (MPS), corrispondente al prezzo al quale il governo acquista i prodotti agricoli, e assicurava entrate ai governi statali sulle transazioni al mundis.
La riforma agraria di Modi
La riforma elimina il monopolio degli APMC (Comitati per il mercato dei prodotti agricoli) dei mundis, consente agli agricoltori di vendere i loro prodotti direttamente agli acquirenti privati, di stipulare contratti agricoli con società private e ha abrogato il divieto di stoccaggio dei prodotti agricoli per fini di profitto.
Nella sostanza prevede una liberalizzazione che avvantaggia gli investitori, ma lascia gli agricoltori in balia dei soggetti privati e delle grandi corporazioni, privandoli di qualsiasi forma di disciplina per la fissazione dei prezzi e di organo di controllo. Gli agricoltori, le loro organizzazioni, il partito di opposizione del Congresso e molti esperti vedono in questa riforma basata su tre leggi, il pericolo di trasformare gli agricoltori in braccianti nella propria terra, con un aumento dello sfruttamento e una minaccia per la sicurezza alimentare del paese. Gli agricoltori ne chiedono l’abrogazione e allo steso tempo ancora una volta sollecitano il governo a realizzare sistemi di irrigazione per combattere la siccità.
Una protesta che neanche la pandemia arresta
Dalle proteste sit-in sulle autostrade dei mesi scorsi, dopo il fallimento di un tentativo di negoziato del governo federale, ri-calendarizzato per il prossimo 3 dicembre, è iniziata la marcia verso New Delhi, che neanche il Covid-19 intimorisce, nonostante solo nella capitale i casi di contagio giornalieri sono oltre 6.000.
Intanto, per il Covid-19 l’india è entrata nella sua terza recessione dopo quella del 2009, che allontana il sogno di Modi di arrivare entro il 2024 a 5.000 miliardi di dollari e che avrà impatto negativo sui traffici internazionali che muove. Solo l’inflazione è calata rispetto alle sue crisi precedenti, proprio grazie all’agricoltura, che ha dato due raccolti eccezionali che hanno depresso i costi alimentari, ma riducendo contemporaneamente il reddito degli agricoltori, che ha aggravato la loro condizione.
QUI il un servizio di Al Jazeera sulla situazione.
Buona lettura!
VIDEO
Foto di copertina Getty Images