“Tutti sono importanti, nessuno è indispensabile” è questa la frase scelta tra i proverbi italiani più populisti e conservatori con cui Di Maio ha certificato la decisione dei suoi probiviri di espellere dal Movimento i senatori De Falco e De Bonis e gli europarlamentari Valli e Moi. Ha scelto la formula espressiva omologante, quella che richiama la sostituibilità di ognuno in qualsiasi momento, svelando il significato che il Movimento attribuisce al merito o al valore individuale, inteso come mera capacità di esecuzione nell’obbedienza. Impressiona sinistramente l’equiparazione delle persone a cose, come fossero pezzi di ricambio di un macchinario industriale, che richiama il perverso meccanismo ripetitivo della catena di montaggio in fabbrica, con tutto il suo fardello di alienante e inumana condizione. Una saggezza da strada che stride con un Parlamento storicamente determinato di un paese che dovrebbe tendere ad essere democratico, moderno, aperto e flessibile, reperendo le risorse per costruire le soluzioni ai problemi dalla diversità e dal mutamento.
Distillato dai lunghi anni del deus ex machina, Beppe Grillo, trascorsi intrattenendo i telespettatori italiani con le tecniche della sbeffeggiatura, il codice etico del M5S dispone, come scrive Di Maio su Facebook, che i suoi parlamentari “sono tenuti sempre a votare la fiducia ad un governo in cui il MoVimento è parte della maggioranza”. Un codice, dunque, che ha la presunzione di estendersi fino al Parlamento, con una regola che dispone del comportamento degli eletti, che invece è materia costituzionale, assegnando a quelli dei 5Stelle il ruolo subalterno e demagogico di “portavoce”, lemma usato da Di Maio nel suo post nel definire i parlamentari del suo partito. Lemma che segnala con tutta evidenza, ancora una volta, il tentativo ideologico grillino di ridurre una società complessa e stratificata come quella italiana, ad una massa informe, il popolo appunto, riportando i rapporti politici nel tradizionale solco della sconnessione tra pensiero e azione, ma privandoli anche della sola azione, che mantiene un certo legame con la responsabilità, per collocarli sul puro piano della vuota comunicazione.
Nella sostanza, la previsione del codice etico grillino contravviene quanto è espresso nell’Art. 67 dalla Costituzione italiana: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Un articolo costituzionale che ha l’intento di proteggere la libertà di voto del parlamentare, richiamando implicitamente la responsabilità individuale nell’esercizio della carica elettorale democraticamente ricevuta per concorrere alle scelte del governo del Paese, e di bloccare eventuali tentativi del partito di appartenenza di obbligare a votare secondo i propri voleri. La lealtà politica è una questione complessa, che andrebbe innanzitutto risolta nell’ambito del confronto politico e della libertà di espressione all’interno di una organizzazione associazionistica, qualunque essa sia. Dunque è una questione che non può essere irriggimentata in un regolamento, sulla scia di un democraticismo di tipo militare, ma la lealtà politica attiene in modo diretto al livello di trasparenza risultante dalla capacità di democrazia e di confronto che una organizzazione sviluppa nel proprio interno, riguardo i problemi e il futuro, le proposte per risolverli e le azioni che si scelgono per raggiungere la speranza, oggi consumisticamente denominata obiettivo.
Da quel che si vede tutti i giorni, e che è ancor più evidente da quando sono al governo del paese con la Lega di Salvini, la democrazia è un bene scarso tra i grillini, come traspare dall’estrema rigidità delle loro affermazioni accompagnate sempre da un forte livello di astrattezza politica; dall’atteggiamento sempre pronto ad asserire e mai a dubitare, con cospicuo uso della tecnica del chiudere la bocca, degli altri beninteso; dal porsi sempre in modo diffidente e per questo sempre poco inclini all’ascolto e fortemente allergici a qualsiasi critica, esercizio questo primario della democrazia.
Anche la loro passione per l’approccio referendario mostra l’arteria reazionaria del movimento, che tende ad imporre a tutti come verità assoluta senza mediazione la proposta più votata, profilando un nuovo totalitarismo, quella della maggioranza relativa populista, che potrebbe purtroppo strutturarsi nel nostro ordinamento, se, come dicono, modificheranno la Costituzione in tal senso. La democrazia e il governo di milioni di abitanti di un Paese, richiede una fitta articolazione territoriale di organismi di confronto e di crescita civile, che contrasta con le decisioni draconiane prodotte dall’ideologia del referendum buono per ogni occasione. Forti gli accenti autoritaristici che emergono dai guru grillini, in primis Grillo e Casaleggio, forte il controllo esercitato sui seguaci, attraverso la piattaforma digitale e il monopolio delle uscite pubbliche con pochi protagonisti autorizzati. Privi di tolleranza e di empatia, come ci insegna la storia biologica del pianeta, più che altro sembrano essere inadatti alla sopravvivenza della specie e per questo, disperatamente pronti a tutto.
Giovanna Visco
NB: questo articolo è stato scritto il 3 gennaio 2019