Tutto quel che è emerso nel mercato azionario cinese è la punta di un enorme iceberg, già in formazione fin dal rallentamento dell’economia globale iniziata oltre 7 anni fa. Mentre il mondo del libero mercato crollava, le grandi aziende statali cinesi sembravano i colossi di un sistema che nulla avrebbe potuto temere. Tuttavia quelle enormi e ingombranti imprese, cresciute all’ombra di un famelico “capitalismo” di Stato fortemente dipendente dallo sviluppo e dalla crescita economica globalizzata e internazionalizzata, hanno avuto meno ammortizzatori e più problemi di quanto si potesse prevedere
La veloce lievitazione dei titoli delle Borse cinesi dal 2014, ha fatto più che raddoppiare in un solo anno le quotazioni Shangai Composite Index, principale piazza cinese di transazione commodity (materie prime), e fatto crescere fulmineamente le azioni di aziende che, invece, stavano incassando scarsi guadagni, per il rallentamento economico globale. Una schizofrenia crollata vertiginosamente a metà giugno scorso, travolgendo non solo il mercato azionario domestico, ma anche parte di quello delle quotate cinesi nelle piazze estere.
Come riportato da Usa Today, i 144 titoli cinesi quotati nelle principali Borse statunitensi da giugno a luglio hanno cancellato oltre 56 miliardi di dollari degli investitori, cifra enorme che tuttavia in termini di punti percentualisi restringe fortemente per ogni azienda quotata. Alibaba, il colosso cinese di e-commerce, ha perso circa 12 miliardi di dollari sulle piazze statunitensi, la peggiore performance tra le quotate cinesi in termini assoluti, ma che corrisponde solo al -7,5% del suo enorme valore di mercato di 204,5 mld di dollari. Anche JD.com, altra azienda cinese di e-commerce, ha perso il 15,4%, pari a una perdita di 7,9mld di dollari per gli investitori globali.
Nella realtà della vasta economia cinese, la caduta dei titoli ha un impatto estremamente limitato, perchè è molto ridotto il numero di imprese che si rivolgono al mercato per finanziarsi. Come riportato da The Sydney Morning Herald il mercato azionario domestico cinese è chiuso agli investitori stranieri, è in yuan ed è dominato da privati che utilizzano, il margin loans con scarsi effetti sul debito complessivo cinese (margin loans: prendendo denaro a prestito si acquistano azioni versando solo un piccolo anticipo, per rivenderle velocemente a un prezzo maggiore, sulla scia del trend al rialzo generato dall’aumento della domanda di acquisto. E’ una speculazione che è all’origine delle bolle).
Invece inquieta il segnale di un crollo di fiducia nella crescita della II economia più grande del mondo, alla base della sua ripida scivolata azionaria, profilando una grave emergenza globale geopolitica e finanziaria, che si riverbera anche nel processo di de-dollarizzazione, iniziato dallo yuan soprattutto nel campo delle transazioni energetiche. Con i suoi enormi consumi la Cina ha trainato a livello globale bilanci di Stato, debiti sovrani e valute, in particolar modo delle economie emergenti.
Come dichiarato dal ministro cinese del commercio, nei primi 6 mesi dell’anno rispetto al 2014 il commercio tra Cina e Russia è caduto del 30,2%, e l’investimento diretto della Cina in Russia del 25%. In questi numeri pesano le forniture energetiche. La Russia, nonostante per la prima volta abbia sorpassato l’Arabia Saudita passando al primo posto per le vendite petrolifere alla Cina, ha di contro registrato forti contrazioni in quelle di gas naturale. Come ripreso da Zero Hedge, da una crescita del consumo di gas del 12-13% nel biennio 2012-13, la Cina è scesa nel 2014 all’8,5% con 185,5 miliardi di metri cubi, mentre nei primi 6 mesi 2015 la crescita si attesta al 2% (dati BP).
Giovanna Visco
NB: questo articolo è stato scritto il 4 settembre 2015