Il riso vietnamita nell’occhio del ciclone della pandemia

Gli effetti sui consumi del persistere della pandemia Sars Cov-2, sono sotto gli occhi di tutti, così come le città desertificate. Restano invece più nascosti quelli sulle politiche alimentari dei paesi esportatori, che stanno guardando con apprensione alle proprie scorte interne. Una riduzione delle derrate destinate all’esportazione, per garantire l’approvvigionamento interno, non si riflette solo sui tempi di ripresa dei traffici commerciali internazionali collegati, ma diventa soprattutto un dramma irreversibile per molti milioni di persone.

La Repubblica Socialista del Vietnam, dopo India e Tailandia, è il terzo esportatore mondiale dell’alimento principale di molti paesi: il riso. Su circa 4 milioni di ettari, 9 milioni di famiglie vietnamite sono dedite alla risicoltura di 7-8 varietà, i cui raccolti di risone sono lavorati in circa 300.000 risiere, in prevalenza di piccole dimensioni. Il riso in Vietnam è oro, principale fonte alimentare e di valuta del paese, oltre che di lavoro e reddito, e in quanto tale sottoposto a spinte contrapposte che richiedono sforzi continui per mantenerne i contraddittori equilibri. 

La sua esportazione è da tempo in crescita continua anno dopo anno, spinta e controllata dal Governo vietnamita attraverso un ampio ricorso agli accordi bilaterali commerciali tra paesi FTAs (Free Trade Agreements). I raccolti destinati all’esportazione vengono prevalentemente raffinati in loco, imballati in migliaia di sacchi, stipati nei container caricati a bordo di navi che viaggiano sulle rotte marittime globali. Nel solo 2019 i traffici di riso vietnamita sono aumentati del 4,2%, toccando i 6,37 milioni di tonnellate del valore di 2,81 miliardi di dollari, destinati principalmente ai mercati di Filippine (2,1 milioni di tonnellate), Costa d’Avorio (580.000 tonnellate), Malaysia (550.000 tonnellate) e Cina (477.000 tonnellate). L’esordio invece dei primi due mesi 2020 è stato straordinario, con spedizioni per oltre 900.000 tonnellate (+32% sul 2019) per un valore di 410 milioni di dollari (+ 27%), che ha registrato minori quantità verso le Filippine, e aumenti di 5 volte verso il Mozambico e di 3 volte verso Cina e Angola. 

Ma tale accelerata è tuttavia motivo di forte stress per almeno un paio di fattori, che esasperano le criticità del sistema: l’aumento dei prezzi al consumo del riso sul mercato interno determinato da quello incontrollato per la volatilità della domanda estera (nel solo mese di gennaio il prezzo delle transazioni di questa commodity alimentare è salito del 7% a 478 dollari a tonnellata), ed i cambiamenti climatici, causa di forti siccità alternate a devastanti inondazioni in tutto il sud est asiatico, che nel Delta del Mekong ha innescato un processo di salinità che compromette la risicoltura, facendo temere per la sicurezza alimentare interna. 

Su questi presupposti, si è avvitata nel paese la pandemia Sars Covid-2, con tutte le sue misure di blocco delle attività e di isolamento. Tale inedita quanto drammatica complicazione, ha spinto il Primo Ministro vietnamita, Nguyen Xuan Phuc, a far sospendere la firma dei nuovi contratti di esportazione e lo sdoganamento delle spedizioni in uscita, bloccando decine di containers pieni di riso nei porti. La misura si è resa necessaria per verificare con produttori ed esportatori il quadro esatto dei quantitativi di riso effettivamente prodotti nella stagione inverno-primavera, il numero dei contratti firmati e le quantità stoccate presso le aziende, su cui valutare la copertura della sicurezza alimentare necessaria ai 97 milioni di vietnamiti che vivono nel paese. Al momento, per il mercato interno, il governo vietnamita sarebbe intenzionato a stoccare una scorta di 270.000 tonnellate di riso, di cui 80.000 di risone, contro le 180.000 dell’anno scorso.

Per inciso, questa decisione non è l’unico esempio che sta perturbando i mercati globali delle commodity alimentari. Anche altri paesi produttori in questi giorni stanno limitando le esportazioni, come la Russia per l’olio di semi di girasole o il Kazakistan per grano saraceno, zucchero e olio girasole. 

Il pericolo evidente che sussegue tali nervosismi, è il profilarsi sulla scena internazionale di operazioni speculative, mentre sono già evidenti le preoccupazioni per gli effetti che le limitazioni all’export potranno avere sul mondo del commercio internazionale e dei traffici marittimi connessi. Ma quelli che più di tutti pagheranno a tragico prezzo una caduta delle esportazioni alimentari, sono i paesi meno sviluppati a forte dipendenza alimentare, proprio quelli che consumano più riso. L’esportazione vietnamita, ad esempio, ha la sua principale leva espansiva nei paesi africani, che hanno imparato a consumare il riso attraverso gli aiuti umanitari, avendo qualità di conservazione, di facilità di trasporto e distribuzione, e di apporto energetico. Un esempio per tutti il Senegal, che nel 2019 ha importato dal Vietnam 13 volte il volume del 2018, quasi 100.000 tonnellate di riso per un valore di 32,6 milioni di dollari. 

Da diversi mesi, milioni di ettari coltivati in Africa Orientale sono devastati dall’invasione delle locuste del deserto (vedi il focus su Shipmag del 4 marzo La grande ombra sui traffici commerciali delle locuste del deserto), distruggendo buona parte dei raccolti e compromettendo la sicurezza alimentare di molti paesi africani. In conseguenza di ciò, la domanda di importazione di commodity alimentari ha subito un balzo in avanti, ora ulteriormente ingrossata dalla necessità di stoccare maggiori derrate per l’incedere della pandemia coronavirus. La stretta del Vietnam sul riso difficilmente potrà essere compensata da altri paesi produttori, come ad esempio la Tailandia, primo esportatore del sud est asiatico e secondo del mondo, che per il momento non ha posto limiti alle esportazioni, ma che è alle prese con la siccità causata dal cambiamento climatico. La Repubblica delle Filippine, che consuma oltre 35.000 tonnellate di riso al giorno, rappresenta il principale mercato della domanda di riso vietnamita, da cui è fortemente dipendente. Nonostante le politiche interne di incentivazione della risicoltura per aumentare l’indipendenza alimentare del paese, nel 2019 le Filippine hanno importato dal Vietnam l’85% del proprio fabbisogno, e ora guardano con timore un lungo protrarsi delle sospensioni o una ripresa limitata dell’export vietnamita. Ancora vivo è il ricordo di quanto avvenne nel 2008, quando il Vietnam riducendo il proprio export sotto la morsa della crisi, spinse i prezzi oltre i 1000 dollari per tonnellata, mettendo alla fame milioni di persone. 

Giovanna Visco

Questo articolo è stato pubblicato da ShipMag il 31 marzo 2020

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