Burkina Faso è un cuore di terra che pulsa sotto il vento dell’harmattan del Sahara per circa 9 mesi all’anno, tra Mali, Niger, Benin, Togo, Ghana e Costa d’Avorio, sul cui suolo l’uomo vive e cammina da circa 14.000 anni.
Sulla carta geografica è una porzione irregolare di territorio esteso 274mila kmq, caratterizzata da pianure, colline e un esteso massiccio arenario la cui cima più alta non raggiunge gli 800 metri.
Negli ultimi 150 anni il Paese ha subito un’iniezione concentrata di fattori esogeni, che gli hanno procurato un alto livello di discontinuità, sospingendolo verso un processo adattivo stravolgente.
Il tragico colonialismo
Nella seconda metà del XIX, l’Occidente nel passaggio dal colonialismo all’imperialismo, decisamente a caccia di risorse e nuovi spazi, si accorge che la vicina Africa è piena di risorse naturali. Inizia così una storia sanguinosa di conquista.
Gradualmente l’Alto Volta, oggi Burkina Faso, viene preso dalla Francia, che ha la meglio sui medesimi appetiti di Inghilterra e Germania, dopo aver distrutto gli antichi regni autoctoni dei Mossi nel 1896.
Due anni dopo, la Francia consolida l’occupazione colonialista del territorio, annientando l’esercito di Samori Ture, il fondatore dell’Impero sunnita Wassoulou (1878-1898) dei Dyula, un fiero gruppo mandingo a cui egli apparteneva.
Si apre così il capitolo colonialista dell’Alto Volta, costellato di rivolte locali mai completamente pacificate e di decisioni prese altrove.
La nascita dell’Africa Occidentale Francese
Nel 1904 il paese viene annesso all’Africa Occidentale Francese, un territorio 8 volte la Francia con capitale Dakar, costruito amministrativamente a tavolino a partire dal 1895, con l’unificazione di stati e territori profondamente diversi tra loro – Senegal, Mauritania, Guinea Francese, Costa d’Avorio, Alto Volta, Dahomey (attuale Benin), Sudan Francese, Niger.
Durante la I Guerra mondiale (1914-1918), analogamente agli altri popoli colonizzati, i burkinabé sono coscritti ed inviati sul fronte occidentale europeo a combattere nel corpo di fanteria coloniale dell’esercito francese, che registrò 72.000 caduti tra africani occidentali, algerini, tunisini, marocchini e indocinesi.
L’impegno bellico in Europa rinvigorì nuove speranze di indipendenza tra alcune popolazioni di Alto Volta e Mali che, coalizzandosi, diedero vita ad un’imponente opposizione armata contro l’Impero coloniale francese, da cui scaturì la coraggiosa guerra Volta-Bani del 1915-1916, che, seppur persa sanguinosamente, ebbe un grande effetto rinvigorente sugli animi africani.
Lo smembramento francese dell’Alto Volta
Successivamente, a causa dei focolai di rivolta mai completamente sopiti, dopo un tentativo fallito di istituire un governatorato distaccato, nel 1932 la Francia decide di smembrare l’Alto Volta, distribuendolo tra Costa d’Avorio, Sudan Francese e Niger.
Subito si rivela un provvedimento inefficace, che all’insorgere di rinnovate proteste anticolonialiste alla fine della II guerra mondiale, viene definitivamente cassato nel 1947, con la ricostituzione territoriale della colonia di Alto Volta.
Nel 1958, a seguito di una serie di pressioni internazionali e di passaggi parlamentari francesi culminati nel referendum indetto negli stati membri di quella che intanto, dal 1946, era diventata la Federazione dei “Territori d’Oltremare” dell’Africa Occidentale Francese, l’Alto Volta sceglie per sé lo status autonomo.
L’indipendenza dalla Francia
Due anni dopo, il 5 agosto 1960, viene finalmente proclamata la sua piena indipendenza dalla Francia.
La nuova Repubblica semipresidenziale dell’Alto Volta è inaugurata con il presidente Maurice Yaméogo del Voltaic Democratic Union, che dota il paese della sua prima Costituzione e istituisce il suffragio universale.
Ma Yaméogo interpreta un ruolo di feroce dittatore, e dopo sei anni di dura opposizione popolare, un colpo di stato militare mette fine al suo potere, aprendo le porte al leader militare Lamizara.
Dopo aver ricoperto la carica di Presidente per 13 anni, nel 1979 Lamizara sarà destituito da un nuovo colpo di stato, che farà ascendere Zerbo, rovesciato due anni dopo ad opera del golpe di Ouédraogo.
In questo avvicendarsi politico del Paese, mosso da interessi completamente estranei alla popolazione del paese, l’Alto Volta permane in una rigida e spietata spirale di crescente impoverimento e di oligarchia militare.
Thomas Sankara
Il 4 agosto 1983 un ennesimo colpo di stato militare porta al potere il Capitano Thomas Sankara, un uomo di ispirazione marxista e di visione panafricana, amico dell’Unione Sovietica e di Cuba.
Originario Silmi-mossi (popolazione autoctona) e cattolico, Sankara presto acquisisce fama in tutto il continente africano, che lo soprannomina il Che Guevara africano.
Sankara subito introduce nel Paese programmi ed iniziative rivoluzionari, tra cui la nazionalizzazione delle risorse, le vaccinazioni obbligatorie, la realizzazione di opere infrastrutturali, il bando delle mutilazioni genitali femminili, il divieto di poligamia, la parità di lavoro tra uomo e donna, la lotta all’espansione del deserto, l’autonomia dell’economia interna con il consumo di prodotti nazionali.
Sul piano internazionale, invece, intraprende un’importante battaglia politica per la cancellazione del debito dei paesi africani, detenuto dall’Occidente.
Per stigmatizzare la svolta del paese, ne cambia il nome, che da Alto Volta diventa “Burkina Faso”, che significa “la terra degli uomini integri”.
L’assassinio di Sankara e la salita di Comparo
Sankara verrà assassinato il 15 ottobre 1987 insieme a 12 alti funzionari di governo, dopo 4 anni di presidenza, nel corso del colpo di stato appoggiato da Francia e USA ed organizzato dal suo collaboratore Blaise Compaoré.
Compaoré si sostituirà a Sankara, restando al potere per ben 27 anni, fino al 2014.
La reazione di molti burkinabé all’omicidio di Sankara fu oggetto di feroce repressione e solo recentemente, riporta Reuters, l’apparato di giustizia sta facendo luce sui crimini commessi
A dicembre 2015 è stato spiccato un mandato di cattura internazionale contro Campoaré e altre 5 persone, tra cui, come riporta International Business Times, il suo fedelissimo generale Gilbert Diendere, che a settembre 2015 aveva fallito un colpo di stato di restaurazione di Campoaré.
Al Jazeera ha reso noto che questi mandati sono partiti a seguito dell’autopsia avvenuta ad ottobre scorso sul presunto (parrebbe che non sia stato possibile analizzarne il DNA) cadavere di Sankara, 29 anni fa certificato morto per cause naturali e che invece è risultato crivellato di colpi.
La scacciata di Compaoré e del suo feroce regime
La tirannica e lunga presidenza di Compaorè, rinnovata elettoralmente negli anni sulla base di un esigua quota di votanti rispetto agli aventi diritto, non si è limitata a cassare immediatamente tutti i provvedimenti introdotti da Sankara.
Essa è stata caratterizzata per tutta la sua durata da censura, violenze e repressioni sanguinose nei confronti di qualsiasi forma di opposizione e delle proteste.
Il 31 ottobre del 2014 una vigorosa rivolta popolare, a seguito del suo tentativo di modificare la Costituzione per poter essere ancora rieletto, finalmente lo mette in fuga in Costa d’Avorio.
Durante la rivolta fu dato fuoco al Parlamento e fu occupata la televisione nazionale. i disordini finirono con l’intervento militare che sciolse il Governo e indisse il coprifuoco.
L’elezione di Kabore
Dopo ulteriori vicende golpiste e un governo di transizione con Presidente Michel Kafando, finalmente il 29 novembre 2015 a Burkina Faso si svolgono le elezioni presidenziali, caldamente appoggiate, come riporta International Business Times, dal segretario ONU Ban Ki-Moon.
Con la vittoria schiacciante del 53,5% dei voti, Roch Marc Christian Kabore è il nuovo Presidente della Repubblica del paese. Insediato ufficialmente il 29 dicembre 2015, nomina Primo ministro Paul Kaba Thieba.
Alcune caratteristiche del Burkina Faso
Con il 29% del suo territorio nella regione del Sahel, l’ampia fascia geografica che dall’Atlantico al Mar Rosso separa il Sahara dal resto dell’Africa, il Nord del paese è sostanzialmente una steppa predesertica, che spinge i burkinabé a vivere prevalentemente concentrati nel Centro e nel Sud del paese.
A parte il francese, lingua ufficiale, nel Burkina Faso si parlano circa 70 lingue e dialetti diversi.
Una ricchezza culturale che, nonostante la diffusione dell’islamismo (60% degli abitanti) e del cristianesimo (30%), mantiene vive le credenze e i culti animistici.
Festima
Burkina Faso non a caso ospita FESTIMA, il più grande Festival biennale internazionale di arte e maschere del West Africa.
Come riporta Al Jazeera, il Festival che si svolge nella città di Dedougou, a 230 km Ovest dalla capitale Ouaga (Ouagadougou), quest’anno partecipato da Benin, Costa d’Avorio, Mali, Togo, Senegal e 50 villaggi burkinabé, è giunto alla sua 20° edizione, organizzata da ASAMA (Association for the Protection of Masks), ora impegnata a raccogliere più fondi per aumentare il numero dei paesi partecipanti della prossima edizione 2018.
Le maschere africane
In molte culture africane per centinaia di anni le maschere hanno svolto una funzione centrale. Simbolizzano spiriti e antenati e accompagnano la complessità dei riti di passaggio di ogni persona nel gruppo di appartenenza.
La musica frenetica e la danza rituali collegano direttamente al divino e all’aldilà l’uomo sotto la maschera, che spesso è assistito da un saggio per l’interpretazione dei messaggi.
Come spiega ad Al Jazeera il direttore di ASAMA, Ki Leonce, le maschere hanno il duplice aspetto cultuale e culturale, che ogni africano e ogni burkinabé considera patrimonio da preservare dalle imposizioni esterne, indipendentemente dalle differenze di culto che pur vi sono.
Alcuni dati demografici
Dagli ultimi dati, i burkinabè residenti nel Paese sono circa 17 milioni, di cui almeno il 45% al di sotto dei 15 anni.
Molti sono quelli che si sono trasferiti altrove, spinti dalla necessità di uscire dalla fame e di cercare un reddito.
Solo in Costa d’Avorio, ad esempio, vivono stabilmente circa 3 milioni di burkinbé.
A parte le città e la capitale Ouaga che conta 1,500 mln di abitanti, la popolazione vive diradata in villaggi sparsi, da cui anche solo stagionalmente, molti emigrano.
Le infrastrutture
Solo il 15% delle strade del Paese sono asfaltate, di cui il 4% autostrade. La rete ferroviaria attualmente è di poche centinaia di chilometri (600km), con un unico collegamento internazionale, la linea Ouaga-Abidjan (Costa d’Avorio) di 500 km, a binario unico e operato dal 2014 con un servizio passeggeri tri-settimanale.
L’aeroporto internazionale è situato nei pressi della capitale Ouaga, che, al di là del quartiere affaristico frequentato dagli occidentali – obiettivo a gennaio scorso dal terrorismo jadhista del Mali con 30 morti e decine di feriti – ha interi quartieri senza elettrificazione e senza acqua potabile.
Il reddito dei burkinabé
Da inchieste giornalistiche, lo stipendio medio di un burkinabé nella capitale è di 50 euro al mese, insufficienti per vivere e per mangiare regolarmente.
Per molti, seppur restii, la speranza è migrare, sebbene tra la gente siano note le drammatiche esperienze di tanti che ci hanno provato.
In una cultura caratterizzata dall’oralità e dalla rete di legami e rapporti interpersonali che arrivano sin nei villaggi più remoti, i racconti delle testimonianze dirette si diffondono rapidamente, tra questi anche quelli di chi, invece, sta rientrando.
I migranti
Da qualche mese, i migranti burkinabé, che per decenni hanno vissuto in Libia, a centinaia stanno volontariamente tornando a casa, come si apprende tra gli altri da AllAfrica.
L’instabilità di quel paese li ha messi in una situazione umanitaria disperata.
Un recente report ONU parla di gruppi armati e trafficanti libici che detengono migranti per lunghi periodi e senza alcun motivo, li torturano e li costringono ai lavori forzati.
Da tempo circolano anche voci di traffico di organi.
VOA News riporta testimonianze di burkinabé abusati da polizia e milizie, incarcerati e sequestrati per un riscatto di circa 700 dollari, che se non hai, paghi in natura, anche combattendo forzatamente nelle milizie, esattamente come spesso avviene a tanti migranti irregolari per pagare il contrabbandiere che organizza il viaggio.
I burkinabé, come altre migliaia di persone africane, scappano dalla Libia e dai trafficanti di esseri umani che li usano come moneta di scambio, da datori di lavoro che non pagano, dalle rapine che spesso subiscono quando ricevono la paga.
Lo IOM, International Office of Migration, sta realizzando, finanziato da UE e Italia, un programma di aiuto per il rientro volontario dei migranti dalla Libia ai propri paesi di origine, in maggioranza Gambia, Senegal e Burkina Faso.
Tra dicembre e febbraio 2016, lo IOM ha rimpatriato oltre 500 burkinabé, ma solo una esigua parte di essi ha potuto ricevere pochi spiccioli per affrontare il reinserimento.
Da fonte All Africa, Abdelrahmane Diop, capo coordinatore dello IOM a Ouagadougo, sottolinea che recentemente su 312 migranti rientrati dalla Libia, solo 56 sono stati assistiti anche economicamente.
Pedine di un gioco di forza tra le parti, i migranti africani sono travolti dal business del traffico umano, usati come trampolino politico e come alibi per arrestare migranti irregolari, che nulla hanno commesso se non di cercare un futuro, o semplicemente persone nere.
Ma chi torna a Burkina Faso, cosa trova?
Giovanna Visco
NB: questo articolo è stato scritto il 5 aprile 2016
Foto di copertina di Anthony Pappone