Al centro del Maghreb l’Algeria è il paese più esteso dell’Africa. Dopo il Western Sahara, i confini terrestri dell’Algeria corrono lungo 463 chilometri con la Mauritania, poi si tagliano per circa 1400 km dal Mali, seguiti dai circa 1000 km con il Niger, che finiscono al cominciare della frontiera con il territorio libico per altri circa 1000 km, per poi giungere alla linea di confine di 1.000 km con la Tunisia, per poi tuffarsi nel Mediterraneo e chiudere così il suo complesso cerchio territoriale di 2.381.740 km2, con 998 km di costa, fino al confine con il Marocco, per circa 1.600 km, con il è in attrito per l’indipendenza del Western Sahara.
Invaso da Marocco e Mauritania all’indomani di una sanguinosa liberazione dal colonialismo spagnolo nel 1975, il Western Sahara dove intanto si sono trasferiti circa 300.000 coloni marocchini, da circa 16 anni è teatro di scontro armato tra il Fronte di Polisario, il movimento di indipendenza nazionale del popolo Sahrawi, e l’esercito di Rabat. Finora, 40 anni di ininterrotto conflitto armato nell’area, hanno portato in Algeria più di 150.000 rifugiati sahrawi, per lo più nella regione di Tinduf, che dal 1975 ospita diversi campi di rifugiati sahrawi, gestiti dal Fronte Polisario, in cui, secondo un report presentato ad Algeri in ottobre scorso da Human Rights Watch (HRW), albergano forme di schiavitù e tribunali militari che giudicano gli oppositori di Polisario, con presunta responsabilità algerina, che non impedirebbe tali abusi nei propri territori.
Dal canto suo, il Marocco da tempo lancia accuse contro l’Algeria, che fomenterebbe i conflitti nel Western Sahara e recentemente il nervosismo tra i due paesi si è rinfocolato per la diffusione in rete di informazioni diplomatiche secretate riguardanti il Fronte Polisario, che, a detta del Ministero degli Esteri marocchino, sarebbero state trafugate dai servizi segreti algerini.
La posizione geografica dell’Algeria le ha fatto acquisire un peso determinante nelle relazioni di vicinato, sviluppando una politica diplomatica multi frontaliera, che affronta problematiche molto complesse e delicate di interesse internazionale. Recentemente il Primo ministro Abdelmalek Sellal ha ribadito l’impegno dell’Algeria nella risoluzione delle crisi interne dei paesi vicini e amici, supportando tutti i processi politici che includono il dialogo e la riconciliazione dei paesi confinanti, conformemente al diritto internazionale, al principio di non interferenza e di integrità territoriale, definendo la pace e la stabilità basi di progresso socio-economico e di democrazia. Sulle gravi questioni internazionali, Sellal ha messo in primo piano la questione libica, sulla quale l’Algeria è ferma sulla necessità di ricercare una soluzione politica, coinvolgendo in un processo di dialogo tutte le parti coinvolte nel conflitto, con l’obiettivo di raggiungere la pace interna senza interventi militari stranieri. A dimostrazione dell’efficacia delle azioni di pace e del peso algerino nella politica internazionale della regione araba del Sahel, Sallel ha citato il successo delle elezioni presidenziali in Tunisia, dove l’Algeria ha svolto un importante ruolo di supporto esterno al processo di transizione democratica.
In tale solco, l’Algeria è attualmente il principale mediatore della crisi nel Nord del Mali, ospitando il dialogo tra le parti per una soluzione definitiva del conflitto, appoggiata dalla Mauritania, che con la quale condivide un accordo del 2012 di soluzione politica e non militare e di rispetto delle sovranità e integrità del Mali. Come sottolineato dal Ministro degli Affari Maghrebini ed Africani Abdelkader Messahel, l’Algeria è fermamente contraria ad interventi militari di profondità in Mali, ma ha mano molto dura e pesante contro il terrorismo e il crimine organizzato. Sulle linee di confine sud-orientali, le attività criminali, ben armate e dotate di guide esperte del deserto, si sono velocemente evolute ed hanno acquisito velocità di spostamento tra Mali, Libia, Tunisia e Niger, in risposta alle azioni di contrasto delle forze militari algerine.
Da qualche tempo Ain Guezzam, area di confine algerino con il Niger è al centro della sfera d’azione dei più grandi gruppi criminali che trafficano persone, droga e armi, collegati a gruppi di jihadisti, come quello Mujao, alleato con la brigata El Moulethemoune. L’esercito algerino recentemente ha portato a termine con successo la cattura di terroristi e criminali, grazie ad un’accurata intelligence e a sofisticati dispositivi di rilevamento dei movimenti, supportati da voli notturni di perlustrazione. Ora sta pianificando vaste operazioni nel centro e nell’est dell’Algeria, contro Djound al-Khilafa, un gruppo passato da al-Qaeda all’ISIS. Nelle province di Tamanrasset e Adrar, all’estremo sud del paese che condivide uno spicchio di Sahel (la fascia terrestre semi-arida dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso che dal Sahara si congiunge alla Savana), il comando militare algerino ha ingaggiato oltre 200 beduini e tuareg esperti di tracce, per aumentare la protezione dei 1800 km di confine che separano l’Algeria da Mali e Niger. Il messaggio del governo algerino ai gruppi terroristi non lascia dubbi: l’Algeria non vuole essere usata per i piani criminali e affronterà con decisione tutti i tentativi di destabilizzare il paese.
Sulla Libia, la diplomazia algerina, che appoggia l’autodeterminazione degli stati africani e arabi, sta tenendo duro anche e nonostante la forte pressione degli stati vicini del Sahel, che chiedono un intervento militare internazionale Nato e USA. Tra questi il Niger, in questi giorni preda di violenti disordini interni. Al termine di un meeting con il Ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian in visita a sorpresa ai primi di gennaio nel Nord del Niger, in una base militare contro i flussi di armi e il passaggio degli jihadisti dalla Libia, il Presidente nigerino, Mahamadou Issoufou, ha definito “indispensabile” l’intervento di forze militari esterne in Libia.
Fuori dal coro Algeri, che mantiene salda la sua linea di dialogo per la riconciliazione: “i libici sono i soli autorizzati a definire le fondamenta ed i contorni della soluzione politica, fuori da qualsiasi forma di interferenza straniera” ha dichiarato ad APS il Ministro algerino Messahel. Nonostante l’escalation della violenza in Libia in corso da oltre 4 anni, sia un serissimo problema per i paesi confinanti, secondo il governo di Algeri occorre isolare i gruppi terroristici e sviluppare gli sforzi algerini per aiutare i libici ad uscire dalla logica del confronto armato, per entrare in una di dialogo politico. La via da scegliere è quella di preservare integrità e unità nazionale libica, per costruire uno Stato moderno e democratico, a differenza di quella degli ultimi sviluppi, che secondo Messahel porta ad uno scivolamento verso il suicidio della Libia. Il caos che ne conseguirebbe andrebbe a tutto beneficio dei gruppi terroristici e criminali, che finora hanno usato l’instabilità della Libia per rafforzare la loro presenza e ridurre la sicurezza e la stabilità dell’intera regione.
Ma la lunga linea di confine desertica dell’Algeria è anche una demarcazione tra il Nord Africa e l’Europa con l’Africa sub-sahariana, da cui moltitudini di persone scappano da condizioni di estrema povertà e violenza, varcando clandestinamente i confini alla ricerca di un minimo di sussistenza.
Alla complessità delle questioni della vicinanza geopolitica con paesi inquieti, si sta aggiungendo la prospettiva di incerte entrate dello Stato, per il calo del prezzo di petrolio e gas, sul quale si alimenta la quasi totalità della spesa pubblica algerina. La capacità dellai spesa pubblica è determinante per la popolazione, avendo scelto un modello statalista, che certo funzionerebbe meglio se fosse meno corrotto, come dimostrano le inchieste della magistratura algerina sul caso Sonatrach.
Nonostante la flessione delle riserve, anche il governatore della Banca centrale algerina Mohamed Laksaci ha recentemente confermato che resta ancora ampio margine economico per affrontare la riduzione dei proventi di commercializzazione di gas e olio, che nel 2014 sono scesi a 60 miliardi di dollari dai 63 del 2013. Intanto il Governo su indicazione del presidente Abdellaziz Bouteflika, sta adottando misure di austerità, che incidono fortemente sugli aiuti finanziari ai paesi africani in difficoltà, parte integrante della politica estera algerina. Nel 2013 l’Algeria ha deciso l’abbattimento del debito di 14 paesi africani (Benin, Burkina Faso, Congo, Ethiopia, Guinea, Guinea-Bissau, Mauritania, Mali, Mozambico, Niger, Sao Tome e Principe, Senegal, Seychelles e Tanzania) per 1 miliardo di dollari, con grande beneficio della Mauritania che aveva un debito stimato intorno ai 250 milioni di dollari.
Secondo Anatolia News Agency, l’Algeria ha dovuto ridurre a meno della metà gli 80 miliardi di dollari del programma annuale di aiuto a Mauritania, Niger, Mali and Burkina Faso ed altri paesi tra i più poveri del mondo nel Sahel, ad eccezione degli aiuti per i programmi di addestramento militare e di sicurezza, di studio universitario specialistico e di quelli annuali per lo sviluppo dell’Africa. L’austerità, in un paese così vasto e anche per la maggior parte climaticamente molto difficile e con poche infrastrutture, come l’Algeria, se non sostenuta da politiche distributive molto accorte, potrebbe incendiare pericolose micce sociali, aumentando le già diffuse proteste che chiedono lavoro e servizi, ma che fanno anche intravvedere elementi tipici di una società avanzata, come le contestazioni ambientaliste contro il gas & oil shale. Proprio pochi giorni fa, è stata repressa molto brutalmente una protesta contro le esplorazioni per il gas da scisto (shale gas), autorizzate dal Governo dal 2013 dopo apposito emendamento alla legge sugli idrocarburi. La popolazione locale è preoccupata per le gravi conseguenze ambientali irreversibili che l’estrazione da scisto procura, soprattutto alle riserve di acqua, bene già estremamente scarso nel Sahara.
Il movimento di protesta è partito dai residenti di Ain Salah, 1300 km a sud di Algeri, e rapidamente si è esteso ad El Ménéa, a In-Ghar ed a Tamanrasset, dove cortei di studenti e professori universitari pieni di striscioni “Non siamo contro l’economia di Stato – siamo contro i progetti che nuociono i cittadini”. I partiti di opposizione hanno condannato la grave repressione che ne è seguita, con oltre 3000 poliziotti antisommossa, che hanno causato morti e feriti. Su queste tensioni si stanno incardinando spinte interne sempre più forti per politiche che incoraggino le attività delle imprese private e degli investimenti stranieri, e introducano un nuovo modello di sviluppo orientato verso il libero mercato. Ma questi dilemmi stanno interessando tutti i paesi arabi, che stanno cercando una propria via verso uno sviluppo compatibile con la loro cultura, le loro etnie e i loro territori.
Giovanna Visco
NB: questo articolo è stato scritto il 18 gennaio 2015
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