UE e Cina firmano un accordo di principio sugli investimenti diretti esteri

Dopo un percorso impegnativo, si sono conclusi positivamente tra l’Unione Europea e la Cina i negoziati per l’accordo di principio bilaterale Comprehensive Agreement on Investment (CAI), la cui rilevanza è soprattutto l’introduzione di principi e regole per gli investimenti europei in Cina. Il processo di negoziazione è stato guidato per l’Europa dalla Commissione Europea su mandato del Consiglio europeo, dopo il suo annuncio ufficiale nel 2013, nel corso del 16° vertice UE-Cina. L’anno successivo avveniva il primo round negoziale di una lunga serie, 35 in tutto, approdando nel 2016 a specifici negoziati testuali. Al 21° vertice UE-Cina nella primavera 2019, le parti concordavano il 2020 quale termine di scadenza della trattativa, dando il via ad una intensificazione dei lavori, nonostante il sopravvenire della pandemia, che il 30 dicembre hanno traguardato la loro conclusione positiva: nel corso di una video conferenza, presenziata anche  da Emmanuel  Macron, il CAI è stato sottoscritto dal leader supremo della Cina, Xi Jinping, dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e dalla presidente di turno del Consiglio, Angela Merkel. 

Senza intoppi l’accordo potrebbe entrare in vigore nel giro di un anno

L’iter di ratifica del trattato, ora in fase di stesura finale, proseguirà con la sua votazione in Parlamento europeo, e se approvato, con la firma dai paesi membri. Se non vi saranno intoppi il trattato potrebbe entrare in vigore tra circa un anno, che già si sono profilati con il disaccordo, in linea con gli Stati Uniti, espresso dalla Polonia sulla accelerazione dei negoziati.

Il grande significato politico del CAI

Protagonisti indiscussi nelle fasi finali di questo importante risultato, il Presidente della Cina Xi Jimping che ha reso possibile sbloccare uno stallo che sembrava insormontabile, accettando alcune richieste europee, e la Cancelliera Angela Merkel alla presidenza semestrale di turno tedesco del Consiglio UE, che non ha tentennato davanti alle difficoltà e sostenuto con determinazione la conclusione positiva della trattativa. 

Il significato politico, oltre che economico, del patto CAI è di grande portata storica, evidenziando la volontà europea di seguire una propria linea di dialogo con la Cina, alla vigilia dell’insediamento di una nuova amministrazione a Washington. Il CAI si profila come spazio di distensione bilaterale rispetto alle violente dispute Cina-Usa economiche e geopolitiche, alimentate a suon di sanzioni e barriere nei 4 anni di presidenza di Donald Trump negli Stati Uniti, che si sono drammaticamente ripercosse a livello globale.  Emerge una nuova strategia europea, che se da un lato sviluppa il dialogo con la Cina, dall’altro mantiene saldo il patto transatlantico politico-militare, NATO, chiedendone una cooperazione rinnovata, alla luce dei mutamenti geopolitici disputati sempre più sul piano climatico-ambientale, epidemiologico, informatico ed energetico. La NATO circa un mese fa ha presentato ai ministri degli esteri il rapporto “NATO 2030: Uniti per una nuova era”, che sarà discusso in primavera, basato su 138 raccomandazioni, in cui la Cina è definita rivale sistemico, proponendo la creazione di un organo consultivo dedicato.

Le reazioni statunitensi 

Le reazioni statunitensi all’accordo non si sono fatte attendere: il team di transizione del neo presidente Joe Biden ha sottolineato che la nuova amministrazione Biden-Harris sta attendendo con impazienza il suo insediamento ufficiale, che avverrà il prossimo 20 gennaio, per commentare ulteriormente l’accordo Comprehensive Agreement on Investment e consultarsi con l’UE allo scopo di stabilire un approccio coordinato sulle pratiche economiche sleali della Cina e su altre importanti sfide. 

L’accordo affronta alcuni aspetti basilari di salvaguardia degli IDE (Investimenti Diretti all’Estero) europei in Cina, paese di forti politiche interne protezionistiche ad alta mutabilità normativa tipiche di un regime autoritario, ma anche molto dinamico e di grande peso nell’interdipendenza globale, capace di trainare lo scambio commerciale e la logistica di interi paesi e regioni del mondo. 

Ma contemporaneamente, il CAI uscendo dalla logica di separazione delle questioni economiche da quelle dei diritti umani, apre anche una breccia sul rispetto degli standard di lavoro globali in Cina. Anche Trump nel 2018 l’aveva unilateralmente affrontato nella guerra commerciale contro Pechino, con sanzioni contro funzionari cinesi ritenuti responsabili delle violazioni dei diritti umani sugli uiguri e su altre minoranze nella regione dello Xinjiang, mischiando in baraonda interessi statunitensi e diritti umani, senza peraltro pregiudicare l’accordo commerciale di fase 1 di gennaio 2020 con cui ha ottenuto dalla Cina  per le società statunitensi l’accesso al mercato.

Il consigliere statunitense uscente per la sicurezza nazionale, Mattew Pottinger, ha criticato duramente il CAI, definendo mera illusione l’idea che Pechino onori i diritti dei lavoratori, continuando a costruire fabbriche nello Xinjiang dove si utilizza il lavoro forzato (inumana pratica che riguarda molti paesi) delle persone in stato di detenzione, che le stime attestano tra 1 e 1,5 milioni.

Il Dipartimento di Stato Usa sollecita forti meccanismi di applicazione e monitoraggio a garanzia che Pechino sia all’altezza di qualsiasi accordo, mentre altri vedono nei progressi negoziali del CAI una mossa di Xi Jinping per ostacolare la dichiarata intenzione di Biden di costituire una coalizione con Bruxelles e altri alleati sulla Cina, come delineato dalla NATO.

L’accordo più ambizioso che la Cina abbia mai sottoscritto

E se gli scettici considerano il CAI un’ulteriore prova che gli Usa farebbero meglio a fare affidamento solo sugli strumenti unilaterali, altri invece pensano che ottenere accesso al mercato con impegni cinesi su standard ambientali e di lavoro, come fatto nell’accordo CAI sia un buon risultato, tanto più che questo accordo è il più ambizioso che la Cina abbia mai concluso con un paese terzo: primo accordo cinese su regole di trasparenza dei sussidi alle imprese, obblighi di comportamento per le imprese statali, e impegni per lo sviluppo sostenibile. Un esito che non viene dal nulla, ma trova fondamento nella nuova legge sugli investimenti esteri varata dalla Cina nel 2019 ed entrata in vigore il 1° gennaio dell’anno scorso insieme al suo regolamento di attuazione. La riforma introduce elementi di protezione degli investitori stranieri, tra cui la proprietà intellettuale e la parità di trattamento negli appalti pubblici, pur lasciando ancora irrisolto il potere discrezionale del Consiglio di Stato cinese nell’autorizzazione delle richieste di investimento estero. 

L’accordo dimostra anche che la politica interna cinese non è immutabile, ma si deve confrontare con le esigenze poste da un processo di grande trasformazione sociale, culturale, tecnologica e economica del paese, che necessariamente si nutre di interdipendenza globale, che neanche la diplomazia aggressiva di Jinping può ignorare. Allo stesso tempo, rappresenta un’altra vittoria politica per Xi Jinping, nonostante i rapporti tesi con gli Usa, che soli pochi mesi fa ha messo a segno un altro importante risultato, dopo che Trump aveva fatto naufragare il partenariato transpacifico  TPP di Obama che escludeva Pechino: il RCEP, che costituisce anche un valido motivo in più per regolarizzare gli IDE europei in Cina.

La Commissione europea e il confronto politico in Parlamento

La Commissione europea ha commentato in una nota interna al Parlamento, che l’accordo a cui si è giunti è il migliore possibile, con il massimo delle concessioni cinesi, che non sarebbero migliorate protraendo la negoziazione, che invece avrebbe esteso lo svantaggio competitivo degli investimenti delle imprese europee in Cina, in un momento in cui sta concludendo accordi con altri partner. 

Adesso si aprirà un impegnativo confronto politico per vincere le resistenze di coloro che si interrogano sul mantenimento degli impegni di ratifica delle convenzioni internazionali sul lavoro da parte della Cina e che investe il Parlamento europeo. La preoccupazione si giustifica alla luce di comportamenti pregressi cinesi, su cui pesa l’aver rimangiato gli accordi internazionali sullo status di Hong Kong.

E spuntano già le prime critiche, come quella che osserva che nell’accordo non vi siano garanzie come l’apertura ai sindacati indipendenti per migliorare gli standard di lavoro in Cina, e le prime proposte, come quella dell’europarlamentare verde Reinhard Butikofer, che chiede un calendario per le ratifiche cinesi delle convezioni contro il lavoro forzato, sulla scia di quanto già fatto dall’Ue con il Vietnam.

I vantaggi europei con la ratifica del CAI

Maggiore protezione degli investimenti UE in Cina e viceversa, maggiore certezza giuridica, minori ostacoli e migliore accesso al mercato cinese degli investimenti europei, aumento dei flussi bilaterali di investimento, sono tra gli obiettivi del CAI che rimuove alcune barriere per stabilire quelle condizioni di parità l’UE chiede alla Cina da tempo. Se il trattato verrà ratificato alcuni settori industriali europei, tra cui automotive, ospedali, ricerca e sviluppo in campo biologico, servizi finanziari, telecomunicazioni e servizi cloud, trasporto marittimo internazionale, troveranno rimosse le barriere di restrizioni quantitative, limiti di capitale o requisiti di joint venture ai loro investimenti in Cina, mentre Pechino avrà opportunità di investimento nelle energie rinnovabili su base di reciprocità, avendo l’UE un mercato già aperto ai capitali esteri. 

Dal World Investment Report 2019 di UNCTAD, le aziende UE hanno investito più di 140 mld di euro in Cina, che dopo gli Stati Uniti, è il secondo destinatario di IDE nel mondo con oltre 40.000 nuove imprese costituite solo 2019, seguita da Hong Kong e Singapore. 

Nel 2019, invece, oltre 3.200 imprese cinesi hanno investito direttamente in UE creando 260.000 posti di lavoro per circa 120 miliardi.

Nonostante la pandemia, nel secondo trimestre 2020 gli investimenti in Cina di società europee, soprattutto tedesche, francesi e  olandesi, sono ammontati a circa 2,3 mld di dollari, in settori chiave quali automotive, componentistica e agroalimentare; mentre nell’ultimo trimestre 2020 i progetti IDE di società UE in Cina hanno raggiunto 1,6 miliardi di dollari. 

La maggior parte della multinazionali europee, che guardano alle opportunità di investimento nel mercato di consumo cinese in rapida ascesa, sostengono l’accordo CAI, che potenzia la competitività globale e la crescita futura dell’industria UE.

Intanto entro fine anno entrerà in vigore un altro importante  accordo bilaterale UE-Cina concluso nel 2018 e firmato nel 2020, questa volta di carattere commerciale, per la protezione di 100 indicazioni geografiche europee IG in Cina e altrettante cinesi in Ue da abusi e imitazioni. Le due parti hanno anche deciso di istituire dialoghi di alto livello su ambiente e clima  e sulla cooperazione digitale.

Dai dati Eurostat riportati da Bloomberg, nel 2019 l’interscambio Cina-UE è ammontato a 650 miliardi di dollari, di cui 242mld di esportazione UE e 442mld di importazione dalla Cina. Nel 2020 la Cina è stata primo partner commerciale dell’UE con un interscambio di circa 517 miliardi di dollari nei primi mesi 9 mesi 2020 (fonte rfa.com). 

Giovanna Visco

Questo articolo è stato pubblicato anche da ShipMAg

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