È sull’avanzata diplomatica del Marocco che si sta riaccendendo lo scontro militare tra il Regno e il Fronte di Polisario, in contesa per il Sahara Occidentale. Sulla ex colonia spagnola, il Marocco avanza pretese di sovranità nazionale lungo tutta l’ampia fascia costiera sull’Oceano Atlantico fino al confine con la Mauritania, in opposizione al Fronte Polisario e all’autoproclamata Repubblica Araba Democratica Saharawi SADR, che invece ne rivendicano l’indipendenza. Nel mezzo un referendum di autodeterminazione mai indetto e oltre 160.000 rifugiati che vivono da decenni in campi profughi in condizioni disperate.
L’ascesa di re Mohammed VI cambia gli scenari
Con l’ascesa al trono nel 1999 del re Mohammed VI, succeduto al padre Hassan II, in Marocco ha preso slancio una politica internazionale mirata a rafforzare il Piano per l’autonomia regionale del Sahara occidentale e la legittimità della sovranità territoriale marocchina su circa ¾ della ex colonia spagnola. Un disegno che consente al paese maghrebino di penetrare l’Africa subsahariana occidentale, collegandola nel contempo all’Europa attraverso i suoi porti, e di accedere ai grandi depositi di fosfati, al tratto di mare tra i più pescosi al mondo e alle riserve petrolifere, non ancora sfruttabili per il veto posto dall’Onu, in attesa di una risoluzione della disputa sulla appartenenza territoriale.
Mohammed VI, guardando al Sahara occidentale, ha avviato una intensa strategia diplomatica, basata su visite di alto profilo ai paesi africani e da annunci di investimento e di operazioni commerciali su larga scala. Tra il 2003 e il 2017 il 60% degli investimenti diretti marocchini all’estero hanno riguardato paesi africani, per un valore di circa 9 miliardi di euro. Nel 2017 il paese è stato il primo investitore africano in Africa occidentale, e secondo del continente, dopo il Sudafrica, principalmente nei settori bancario e telecomunicazione, con Attjariwafa Bank, Banque Centrale Populaire e Maroc Telecom, con operazioni nei francofoni Senegal e Costa d’Avorio, fino in Etiopia, per un gigantesco impianto di fertilizzanti, e in Nigeria, per un gasdotto che raggiunge il Mediterraneo.
Nel 2017 è rientrato nell’Unione Africana, dopo 33 anni di prolungata assenza per le dimissioni decise da Hassan II nel 1984, contro l’ammissione della Repubblica Araba Democratica Saharawi SADR.
Alle porte del vasto mercato africano, nelle due città costiere del Sahara Occidentale di Laayoune e Dakhia, che richiamano studenti universitari da tutta l’africa subsahariana, il governo ha poi concentrato gli sforzi su una intensa opera diplomatica, per spingere l’apertura in queste città delle sedi consolari di vari paesi, individuata come strategia per normalizzare la sovranità territoriale marocchina in quelle regioni ed indebolire il riconoscimento internazionale della Repubblica araba saharawi. Nel complesso il riscontro di tale operazione è positivo, contando al momento almeno 16 paesi che vi hanno aderito: primo fra tutti gli Emirati Arabi Uniti, e poi Zambia, Regno di Swaziland, Unione delle Comore, Gabon, Repubblica Centroafricana, Sao Tomè e Principe, Burundi, Costa d’Avorio, Guinea Equatoriale, Gambia, Repubblica di Guinea, Repubblica di Gibuti, Liberia, Guinea-Bissau e Burkina Faso, mentre prossimamente dovrebbero vedere la luce i consolati di Qatar e Libia.
Ciononostante, paesi importanti, tra i quali Kenya, Algeria e Sudafrica, continuano a sostenere il Fronte Polisario e la posizione storica dell’Unione Africana per l’autodeterminazione del popolo saharawi.
Un ulteriore segnale che riflette un crescente sostegno internazionale alla sovranità del Marocco nel Sahara occidentale e al suo piano di autonomia e integrità territoriale è stata anche la 3° riunione dei ministri degli esteri di 12 paesi del Pacifico, che ha avuto luogo lo scorso febbraio proprio a Laayoune.
A tutto questo, il 30 ottobre scorso si è poi aggiunta la risoluzione 2548 approvata dal Consiglio di Sicurezza Onu, che prorogando di un altro anno il mandato della missione Minurso (Missione delle Nazioni Unite per il referendum nel Sahara Occidentale) ha chiesto una “soluzione realistica, praticabile e duratura …basata sul compromesso” e la ripresa dei negoziati tra Marocco, Algeria, Mauritania e Polisario, fermi dal 2019. Una dichiarazione tuttavia che sembra confermare i sospetti di un allontanamento del referendum dall’orizzonte Onu, atteso invece dal Fronte Polisario dal 1991, e che è premessa della tregua firmata tra i due contendenti.
L’occupazione della strada nazionale a Guerguerat
È in questo contesto generale che il 21 ottobre scorso manifestanti saharawi e il Fronte Polisario, hanno occupato pacificamente, bloccando il traffico ad oltranza, la strada nazionale marocchina al valico di Guerguerat nel sud ovest del Sahara Occidentale, al confine con la zona cuscinetto di 4 km monitorata dall’ONU, che collega il Marocco alla Mauritania, a 55 km dalla città di Nouadhibou, capitale economica di quel paese.
Il blocco della circolazione durato 23 giorni ha causato alla Mauritania il rincaro dei prodotti ortofrutticoli, che sono stati urgentemente trasferiti via mare con una prima spedizione di circa 30 contenitori, per assicurare la ripresa dei rifornimenti alla Mauritania.
La strada nazionale non è riconosciuta dal Fronte Polisario, che Ould Salek, ministro degli esteri della SADR, ha definito né una strada internazionale e nemmeno regionale, ma una via utilizzata per saccheggiare le risorse naturali del popolo saharawi.
Dal punto di vista marocchino, e anche mauritano, invece è una arteria strategica, unica rotta terrestre del Marocco aperta verso l’Africa subsahariana, poichè i collegamenti attraverso l’Algeria sono chiusi fin dalla guerra del 1963, quando il Marocco tentò invano di conquistare la regione algerina di Hammada per estendere il suo dominio territoriale.
Il 13 novembre scorso per porre fine al blocco cha ha paralizzato dell’interscambio terrestre del paese con il resto dell’Africa, il Marocco è intervenuto militarmente, rompendo la tregua nella terra di nessuno, e riaccendendo scontri armati tra le due parti in varie località, confermati dall’Onu, che non hanno fortunatamente registrato né morti e né feriti.
Mentre il Fronte Polisario del Sahara Occidentale ha dichiarato che il Marocco rompendo il cessate il fuoco ha acceso la guerra di un conflitto che durerà finchè Rabat continuerà ad occupare il territorio conteso, il re marocchino ha avvertito che il paese reagirà con la massima severità a qualsiasi attacco nel Sahara occidentale. Per Rabat non ci sono stati scontri armati militari, ma solo colpi di avvertimento e la tregua resta in vigore.
Il Berm e la strada nazionale
Il ministro degli esteri marocchino Nasser Bourita (da fonte Reuters) ha spiegato che l’esercito è entrato in azione dopo aver dato tempo alle Nazioni Unite di intervenire, ha liberato il valico e istituito un cordone di sicurezza delle Forze Armate Reali (FAR), ma ha anche annunciato la costruzione di una nuova barriera per impedire al Fronte Polisario di accedere all’area. Questa ennesimo muro di sabbia si aggiungerà a quello eretto dal Marocco dal 1982 al 1987, in piena guerra con il Fronte Polisario: il Berm o muro del Sahara Occidentale, lungo oltre 2.700 km che è anche il più lungo campo minato del mondo. Costruito in 6 diverse fasi da nord a sud, delimita i confini delle vaste aree su cui il Marocco avanza la sovranità territoriale, toccando la Mauritania e lasciando fuori solo aree interne desertiche tra Marocco, Algeria e Mauritania. Ufficialmente, il Berm avrebbe scopi difensivi, ma a tutti gli effetti è zona militare con fossati, bunker, sistemi radar, filo spinato e campi minati.
E se sul lato interno il Marocco chiude l’accesso ai territori rivendicati con ogni mezzo, sul lato verso l’Atlantico sviluppa invece infrastrutture di collegamento terrestre, lungo un asse principale costituito dalla strada nazionale costiera di oltre 2.300 km, unica trans-sahariana completamente asfaltata e sicura che da Guerguerat, ai piedi del muro difensivo, arriva a Tangeri e al suo importante porto, collegando l’Africa occidentale all’Europa.
Recentemente, sulla tratta di 500 km che collega le due città costiere di Laayoune e Dakhla sono stati completati lavori di ampliamento, con un investimento di oltre 900 milioni di dollari, che sono parte del progetto Dakhla-Tiznit di oltre 1000 km, che e si completerà nel 2021. Facilitare i collegamenti tra il nord e il sud del paese e i paesi subsahariani, in primis Mauritania, Senegal e Mali, è nei progetti strategici di sviluppo nelle regioni meridionali del Marocco, annunciati dal re Mohammed VI nel 2015, nell’anniversario della Marcia Verde, la manifestazione di massa del 1975 coordinata dal governo marocchino, con cui invase il Sahara Occidentale.
La diffidenza degli altri paesi africani verso l’espansionismo marocchino resta
L’interesse del Marocco verso il Sahara Occidentale negli anni si è rafforzato sempre più, spinto dal processo di sviluppo che coinvolge tutto il continente subsahariano e che sta sempre più attraendo il Nord Africa, il Medioriente e i paesi del Golfo, distogliendoli dall’Europa. Questo fa assumere una valenza geopolitica strategica alla campagna globale marocchina per il riconoscimento della sua sovranità sul Sahara occidentale.
Tuttavia, la diffidenza di diversi paesi africani verso possibili ambizioni espansionistiche del Marocco resta. La domanda del Marocco avanzata nel 2017 di adesione alla Comunità Economica degli Stati e dell’Africa Occidentale, ECOWAS, approvata in linea di principio, non è stata ancora ratificata. Preoccupa l’economia competitiva del Marocco, che potrebbe danneggiare le produzioni di altri paesi africani, e preoccupano gli accordi di libero scambio che il paese ha con l’Unione Europea e gli Stati Uniti, che potrebbero facilitare l’ingresso dei prodotti occidentali nei mercati africani. Infine, pesa anche la preoccupazione della Nigeria, paese dominante ECOWAS, su possibili cambiamenti di equilibrio a favore dei paesi francofoni, che l’ingresso del Marocco potrebbe determinare.
Marocco, Algeria e Polisario
Intanto, il Presidente della Repubblica RASD e Segretario generale del Fronte Polisario, Brahim Ghali, ha decretato ufficialmente lo stato di guerra: “Il nostro popolo è in guerra come risposta a una vile aggressione di civili e per riaffermare il diritto all’autodeterminazione, alla resistenza e alla liberazione della nostra terra, occupata dal Marocco da più di 45 anni”, mentre dai campi profughi di Tindouf in Algeria arrivano notizie che confermano gli annunci di Polisario riguardo la mobilitazione di migliaia di giovani pronti ad arruolarsi per liberare la propria terra.
Anche tra Marocco e Algeria spuntano segnali di nuova tensione, evidenziata dalla esercitazioni militari algerine al confine. L’Algeria accusa il Marocco di aver violato il cessate il fuoco con il supporto diplomatico delle monarchie del Golfo, ma chiede contemporaneamente il riavvio del dialogo sotto l’egida dell’Onu.
Resta la richiesta del Fronte Polisario, che è sempre la stessa, quella dell’autodeterminazione, rivolta alla comunità internazionale che ha l’obbligo di fissare una road map per arrivare in tempi certi al referendum, dichiarandosi pronto a combattere finché questo non avverrà.
Pillola di memoria
Nel 1963 il Sahara Occidentale fu inserito nell’elenco Onu dei paesi da decolonizzare e nel 1965 l’Assemblea Generale invitò la Spagna a mettere fine alla sua occupazione coloniale.
Nel 1966 l’Onu ratifica l’atto di autodeterminazione del popolo saharawi.
Nel 1973 nasce Polisario (Frente Popular de Liberacion de Saguia el Hamra y Rio de Oro) e nel 1974 la Spagna avvia il censimento della popolazione per organizzare il referendum. Ma l’anno seguente il re del Marocco Hassan II esprime la sua totale contrarietà all’indipendenza del Sahara Occidentale, nonostante una missione Onu di riconferma del diritto all’autodeterminazione e di riconoscimento di fatto di Polisario, che intanto aveva iniziato operazioni di guerriglia contro la Spagna. In quello stesso anno, mentre la Spagna inizia lo sgombero. il Marocco irrompe con il proprio esercito nella zona contigua ai confini con il Sahara Occidentale, ed organizza la Marcia Verde con 350.000 marocchini, che entrano nel Sahara Occidentale per vanificare qualsiasi volontà referendaria e per porre le basi di una definitiva appropriazione di quei territori.
La Spagna segretamente giunge ad un accordo di spartizione della colonia tra Marocco e Mauritania, innescando la resistenza armata delle forze saharawi. Nel 1976 la resistenza proclama la Repubblica Democratica Araba del Saharawi – RASD .
Nel 1979 la Mauritania si ritira dal conflitto, riconosce la RASD e dichiara la propria neutralità. In risposta il Marocco invade la restante parte del Sahara Occidentale, costringendo all’esodo migliaia di famiglie saharawi, che trovano rifugio in Algeria nell’oasi di Tinduf, in campi profughi dove tuttora vivono.
Nel 1991, alla sottoscrizione di un accordo per lo svolgimento del referendum di autodeterminazione tra l’annessione al Marocco o l’indipendenza del paese, fa seguito la dichiarazione del cessate il fuoco tra Marocco e Polisario, e l’avvio della missione Onu MINURSO (Mission des Nations Unies pour l’Organisation d’un Reférendum au Sahara Occidental), con il compito di vigilare sulla tregua ed organizzare il referendum, che tuttavia è mai stato più volte rinviato per controversie sulle liste elettorali e sul quesito da porre al referendum.