La strategia energetica saudita

A Londra i mercati hanno reagito in un attimo, impennando del 5% i futures Brent, non appena da Jizan, nell’estremo sud del Regno saudita sul Mar Rosso, il Ministro del petrolio Ali al-Naimi ha divulgato la lieve crescita della domanda cinese di greggio, trainata dalla ripresa produttiva. “Ora i mercati sono calmi … e la domanda sta crescendo” ha commentato il ministro a Reuters. Nel mercato globalizzato dell’olio ha effetti immediati anche il più piccolo movimento tra Cina, secondo consumatore mondiale di greggio dopo gli Stati Uniti, ed Arabia Saudita, primo esportatore mondiale di greggio.  Secondo alcuni osservatori, la domanda e l’offerta di greggio sarebbero ormai sulla soglia di equilibrio, che nel mercato Brent si sta coagulando intorno ai 55 dollari al barile. La turbolenza petrolifera di questi mesi, che nell’immediato ha colpito  soprattutto gli investitori in nuove esplorazioni e campi estrattivi, si è profilata a novembre scorso, quando l’OPEC, contraddicendo le aspettative internazionali, ha deliberato di non tagliare la produzione nonostante la forte discesa del prezzo del barile. In tale decisione è stata l’Arabia Saudita ad essere determinante

Il Regno sta dando priorità assoluta alla difesa della propria quota nel mercato globale del greggio. Efficienza energetica, fonti rinnovabili, misure di contenimento del surriscaldamento atmosferico stanno ridimensionando l’ordine di grandezza della sua domanda. E non solo. Nuovi soggetti produttori affacciatisi sul mercato con lo sviluppo dell’estrazione non convenzionale, sono contendenti pericolosi, se non fossero scoraggiati dal calo di prezzo del barile, che non soddisfa il break even delle tecniche fracking per l’estrazione shale oil. 

Sebbene l’obiettivo di Arabia Saudita e paesi Opec non fosse quello di ridurre il prezzo dell’olio, si è generato un effetto positivo. Con un prezzo simile vedremo quanti produttori di greggio non convenzionale usciranno dal business” (fonte CNN Money) ha osservato il principe saudita Alwaleed bin Talal, investitore globale ed esponente di quel 10% detentore di potere e ricchezza della famiglia reale, che conta complessivamente circa 15.000 membri, quasi tutti residenti a Riyadh. Sul medio termine alcuni temono che la forte determinazione saudita di difesa delle vendite di greggio possa comportare il rischio che ne aumentino la produzione,  tarpando le ali ad un possibile recupero dei prezzi; ma la questione ha anche altre sfaccettature. Infatti, se da una parte l’Arabia Saudita è focalizzata a produrre dall’altra mostra equivalente attenzione a consumare. Il costante trend di crescita demografica, che nel 2013 ha fatto superare i 30 milioni di abitanti, accompagnato dalla forte urbanizzazione e da iniziative economiche sempre più privatizzate, ha sensibilmente innalzato il consumo energetico del paese, che ha bisogno più che mai di mantenersi a basso costo. I dati elaborati da JODI, Joint Organizations Data Initiative, ne mostrano  un apice esemplificativo a giugno 2014, quando alla flessione dell’export di greggio (- 40.000 barili al giorno rispetto al mese precedente segnando il minimo storico di export degli ultimi 3 anni a circa 7 milioni di barili al giorno), è corrisposto un aumento della produzione giornaliera di +75.000 barili, totalizzando quasi 10 milioni di bpd. La differenza tra produzione ed export è finita nella raffinazione o nelle centrali elettriche del Regno.

Complessivamente nel 2014 l’Arabia Saudita ha consumato ad una media di oltre 2 milioni bpd, saturando gli impianti di raffinazione, tra cui Satorp, a Jubail sul Golfo Persico, joint tra la compagnia di stato Saudi Aramco e la Total. Nei programmi di sviluppo economico del Regno compaiono progetti di nuove raffinerie, come quella della joint Saudi Aramco – Sinopec Group in costruzione sul Mar Rosso che lavorerà 400.000 bpd, ma anche importanti investimenti nelle rinnovabili, per liberare quote di petrolio dal consumo domestico da destinare al mercato internazionale.  Nel 2014 gli investimenti sauditi in energia pulita sono aumentati del 16% a 310 miliardi di dollari, il primo incremento in tre anni, secondo Bloomberg New Energy Finance, mentre nel 2015 è attesa una crescita del 10% delle installazioni ad energia solare o eolica.

Nelle intenzioni dei sauditi ci sono 109miliardi di dollari da investire entro il 2040 in rinnovabili. Tuttavia, inevitabilmente, la scivolata del prezzo del barile sta rallentando le prospettive di sviluppo. Khalid al-Falih Presidente e CEO di Saudi Aramco ha annunciato all’8° GCF (Global Competitive Forum) a Riyadh che la compagnia di stato rinegozierà o posporrà alcuni progetti, ricordando che la caduta del prezzo del barile si è concretizzata da giugno 2014 per l’abbondante offerta globale. “L’Arabia Saudita ha una politica, la politica è regolata dal governo attraverso il Ministro del Petrolio, ma l’Arabia Saudita non  potrà equilibrare il mercato da sola.  La matematica vi dirà che i nostri export stanno gradualmente declinando. Così la ragione dello squilibrio nel mercato non ha assolutamente nulla a che fare con l’Arabia Saudita” ha sottolineato al-Falih.Come riporta Reuters, egli ha evidenziato che il Regno saudita sta producendo 9,8 milioni bdp, mentre la sua capacità giornaliera sarebbe di 12 milioni ed alla domanda di quale sia un prezzo giusto per l’olio ha risposto “Sarà il prezzo che in definitiva bilancia offerta e domanda. Non ne penso alcuno e nessuna persona ne potrebbe indicare uno. Sarebbe un pazzo se lo facesse”, aggiungendo che Saudi Aramco ha stanziato 7 miliardi di dollari, che si aggiungeranno ai 3 miliardi di dollari già investiti, per lo sviluppo delle risorse di gas non convenzionale, che alimenterà nuove industrie e posti di lavoro. “L’ Arabia Saudita sarà la prossima frontiera per lo sviluppo del gas shale e delle risorse non convenzionali” ha annunciato. La strategia di lungo periodo della Saudi Aramco, infatti, è di diventare la principale impresa mondiale di energia integrata, con investimenti allineati ai programmi di diversificazione dell’economia saudita in stretta collaborazione con le agenzie governative. Tra queste la Saudi ArabianGeneral Investment Authority SAGIA, per attrarre nel Regno investimenti diretti esteri in nuovi settori e nella supply chain.


Quel che è certo è che nel corso del 2015 il prezzo basso del barile avrà effetti pesanti sugli equilibri internazionali economici e politici soprattutto nel mondo arabo, perchè anche se i sauditi hanno riserve finanziarie che permettono loro di proteggere la propria quota di mercato mantenendo lo stesso livello di produzione nonostante i bassi prezzi di mercato, poco margine resterà per continuare a sostenere finanziariamente altri stati e gruppi arabi come è avvenuto finora.

Da recenti dati ufficiali, la bilancia dei pagamenti saudita, abbondantemente attiva dal 2004, ha registrato un surplus di 778 miliardi di saudi riyal (circa 197 miliardi di euro) nel solo 2013. I principali paesi importatori sono USA, Cina, Giappone, Sud Korea, India, Singapore, UAE, Bahrain e Italia (politilene, greggio, chimici, alluminio, cemento); mentre i principali esportatori nel Regno di merci quali armi e veicoli, telefonia, lingotti d’oro, farmaceutica, camion, orzo, pezzi di ricambio, pneumatici, riso, pollame, sono USA, Cina, Germania, Sud Korea, Giappone, UAE, India, Italia, Svizzera e Francia.

Da stime dell’International Energy Agency (IEA) il reddito petrolifero dei paesi mediorientali crollerà a circa 400 miliardi di dollari dal trilione realizzato nel 2014. Un problema tutto arabo, perché secondo alcuni importanti osservatori, tra cui Richard Fisher capo della Federal Reserve di Dallas, capitale statunitense del greggio, nonostante le perdite di molte compagnie produttrici, l’impatto dell’olio a buon mercato sull’economia sarà positivo, favorendo diversi comparti manifatturieri trainanti tra cui quello automobilistico. Secondo Fisher, il prezzo basso del petrolio avrà anche effetti politici nel rapporto di forza tra l’Arabia Saudita e l’Iran, principale nemico sciita del regno saudita, che avrebbe bisogno per finanziare se stesso e i suoi affiliati di un prezzo di mercato del barile intorno ai 135 dollari. Il tracollo del reddito petrolifero sta incidendo fortemente nella rete delle relazioni tra paesi, mettendo a dura prova anche la tenuta politica-economica dei singoli stati arabi, finora sostenuti finanziariamente da quelli esportatori di petrolio. L’Egitto, ad esempio, dal rovesciamento del governo di Mohammed Morsi nel luglio 2013 a dicembre 2014 ha goduto di generosi aiuti finanziari dagli stati del Golfo –  Regno saudita, Kuwait ed Emirati Arabi – per  10,6 miliardi di dollari, come riporta Al-Monitor.

La inevitabile stretta di cinghia degli aiuti dal Golfo a seguito dell’assottigliarsi del reddito petrolifero,  ha determinato l’Egitto a tenere recentemente a Sharm el-Sheikh la conferenza internazionale l’Egypt Economic Development Conference (EEDC) per progetti di investimento straniero nei settori telecomunicazione, minerario e industriale. Iniziative come queste creano ulteriori aperture dei mercati domestici all’economia globalizzata, con forti impatti di cambiamento sulla stabilità degli equilibri tradizionali delle tante diversità che compongono il mondo arabo. 

Sul piano dei mercati petroliferi globalizzati, i produttori mediorientali sono sempre più in competizione su quelli asiatici con il greggio latinoamericano, africano e russo. I produttori del  Golfo Persico vendono molto del loro crudo alle raffinerie con contratti di lungo termine, stabilendone il  prezzo in termini di differenziale dal benchmark fissato dalla media  Oman/Dubai. L’Arabia Saudita nella sua tenace lotta di difesa della propria quota di mercato, ne ha elaborato strategie diversificate.  L’elemento attuatore di esse, la Saudi Aramco, ha recentemente abbassato il prezzario delle quattro qualità di greggio vendute in Asia. La Staro Saudi Arabian Oil Co, ad esempio, ha scontato per il mese di marzo il prezzo ufficiale di vendita in Asia del crudo Arab Light di 90 cent al barile, scendendo al prezzo più basso degli ultimi 14 anni, secondo la banca dati di Bloomberg. In lizza con Angola e Russia, il regno saudita è tra i primi tre fornitori della Cina con una quota del 37% a dicembre scorso, in discesa dal 44% di ottobre. La Cina, secondo alcuni osservatori, è considerato dai sauditi quanto dagli statunitensi, il mercato energivoro a più forte crescita nei prossimi decenni. All’opposto, invece, Saudi Aramco ha maggiorato i listini USA, mercato nel quale contende il secondo posto con il Messico, mentre il Canada occupa il primo, come anche per l’Europa,  che nonostante acquisti solo piccole quantità dal Regno, ha una domanda positiva, spinta dalla congiuntura dei buoni margini di guadagno della raffinazione.

Secondo l’IEA, tra calo dei prezzi e il surplus delle scorte, nel 2015 la domanda di greggio crescerà, con effetti positivi, seppur lievi, sulla riduzione delle scorte dell’offerta, di circa 1,3% pari a 1,17 milioni di bdp. Nel medio e breve termine ciò  interromperà la corsa in discesa del greggio. Nei paesi Ocse le scorte rischiano di ingrossarsi tanto da eguagliare entro metà anno il record storico di 2,83 miliardi di barili, un livello raggiunto solo nell’agosto 1998, con previsione di maggior danno alla Russia, con un calo export di 560 mila  barili al giorno (bpd) entro il 2020.Taglio dei prezzi in Asia e crisi dello shale oil stanno consegnando risultati positivi alle decisioni OPEC, che nel suo ultimo Monthly Oil Market Report ha aumentato le previsioni 2015 della domanda mondiale di greggio a oltre 29 milioni di barili al giorno, invertendo quelle espresse solo un mese prima ( +100 mila barili al giorno invece del calo di -300 mila  su base annua).L’ aumento della domanda di petrolio Opec è determinato soprattutto dal calo export dei paesi non-Opec. La produzione petrolifera statunitense 2015 si prevede in crescita, ma con una revisione al ribasso di un +800.000 barili al giorno, invece del milione previsto a gennaio.


Nel novembre 2014, l’Arabia Saudita ha condotto l’OPEC a non tagliare la produzione di 30 milioni di barili al giorno, nonostante le difficoltà per il calo del reddito petrolifero soprattutto di Venezuela e Algeria. E’ prevalsa la difesa del mercato, minacciato non solo dal surplus e dal rallentamento della crescita economica di questi ultimi 7 anni,  ma anche dal ridimensionamento graduale della domanda, il cui massimo risale al 1973, quando il petrolio fornì il 46% dell’energia mondiale. Altre soluzioni energetiche stanno conquistando pezzi di mercato  e mantenere attraente il prezzo del greggio è divenuto uno strumento efficace di mercato. “Nessuno immagina che il mondo continui a domandare olio finchè lo si ha nei propri campi. Abbiamo bisogno di prepararci a questa fase” ha commentato a Bloomberg l’esperto saudita Mohammad Al Sabban.  Come ha commentato a Bloomberg TV Francisco Blanch della Bank of America “I sauditi stanno cambiando la struttura del mercato, spingendo indietro il picco della domanda di 5-10 anni”. In effetti, il bisogno energetico per la produzione di un punto di PIL cala sempre più e, secondo l’IEA, nel 2015 il consumo petrolifero nei 34 paesi OECD – Organisation for Economic Co-operation and Development – diminuirà a 45,6 milioni di barili al giorno. Dunque, un prezzo conveniente del barile è condizione che può determinare una spinta di consumo energetico, compensandone in qualche modo il ridimensionamento dovuto alle maggiori efficienze.  

                                                                                                                   Giovanna Visco


Nota:  BFD – Barrels For Day ( Barili al giorno) è un’unità di misura petrolifera che esprime in barili le quantità prodotte o consumate di greggio

NB: questo articolo è stato scritto il marzo 2015

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