La Cina e lo sviluppo negativo

Dopo quello atmosferico, allarme rosso acqua.


di Giovanna Visco

Da un documento riservato della Commissione Nazionale per la Salute e la Pianificazione Nazionale cinese, per la cui diffusione la giornalista Gao Yu sta subendo un processo a porte chiuse, la crescita continua del flusso migratorio interno verso le grandi città, a fine 2013, ha raggiunto quota 245 milioni di persone, pari ad un 1/6 della popolazione totale

Dopo le terribili immagini che hanno fatto il giro del mondo sull’inquinamento atmosferico delle megalopoli cinesi, che nel 2010 secondo The Lancet ha determinato la morte prematura di circa 1,2 milioni di persone, si diffonde l’evidenza di una nuova emergenza ambientale, costituita dal dilagante inquinamento delle acque cinesi. 

Da un recente report del Ministero della Protezione Ambientale, rimbalzato da Bloomberg Businessweek, nel 2013 le autorità cinesi hanno dichiarato troppo contaminati per la coltivazione circa 33.000 km2 di terreni agricoli. 

Un dato ancor più inquietante, se si considera che ciò che inquina il terreno contamina irreversibilmente il sistema idrologico sotterraneo e di superficie. Infatti, dallo stesso report, sono già 300 su un totale 657 le grandi città cinesi che si trovano al di sotto degli standard minimi di disponibilità annua di acqua stabiliti dall’ONU, fissati a 1000mc pro-capite. Città come Tianjin e le aree urbanizzate di intere province come quella di Hebei, nel Nord della Cina orienale, dispongono di appena  286mc  pro capite di acqua all’anno; mentre, secondo la studiosa australiana Lara Marie Djurovic  a Pechino le falde acquifere scendono vertiginosamente di un metro all’anno, spingendo ad eccessive trivellazioni che stanno causando cedimenti del terreno in tutta la regione. La studiosa prevede che Shangai, oggi con una disponibilità di circa 16 milioni di tonnellate di acqua al giorno per 26 milioni di persone, tra sette anni, con 30 milioni di abitanti e un fabbisogno giornaliero di 18 milioni di tonnellate di acqua, andrà in crisi idrica. 

Intanto, continuano copiosi nei fiumi i riversamenti delle acque di scarico industriali, contaminando di sostanze cancerogene, come il benzene, bacini e fiumi, come il Delta dello Yangtze (Fiume Azzurro), e inquinando già 17 dei 31 grandi laghi cinesi (dato del Ministero della protezione ambientale). La conseguenza è che più della metà della popolazione, 700 milioni di cinesi,  non ha accesso diretto auto dei beni essenziali per la vita: l’acqua. 


Negli ultimi trenta anni, mentre il mondo occidentale cavalcava la crescita economica a due cifre della Cina, la distruzione delle falde acquifere, la desertificazione di ¼ dei territori agricoli e la deforestazione sfrenata sacrificate dal Paese in nome della crescita, non hanno mai trovato un’inversione di tendenza. 

Ancora oggi, tra le mille complessità di un’economia di Stato che sta passando ad una di mercato, la Cina, che ha il più alto numero di popolazione del mondo (1,3 miliardi di persone), ha un apparato pubblico di controllo ambientale di un ventesimo rispetto a quello nordamericano, che ha una popolazione quattro volte inferiore. 

L’eminente studioso Vaclav Smil ha calcolato l’inquinamento della Cina ad un costo corrente di almeno 15% del suo PIL, che prevede in aumento nei prossimi decenni. Ma le conseguenze ambientali di tale devastazione non sono solo interne. 

E’ sotto gli occhi di chiunque li voglia aprire, l’emergenza alimentare cinese, che dopo aver fatto impoverire i territori dei paesi asiatici vicini, spingendoli a selvaggi metodi di coltivazione e a produzioni industriali a bassa tecnologia, fortemente inquinanti, è diventato il principale partner commerciale del Brasile

Oggi il governo brasiliano consente di soddisfare l’immensa voracità cinese di soia, carne di manzo, ferro e legname, deforestando l’Amazzonia con il continuo abbassamento dei paletti di protezione e conservazione ambientale di quello che è il principale polmone del pianeta, e con ciò immolando irresponsabilmente e scelleratamente anche le sue innumerevoli biodiversità. 
C’è da chiedersi cosa accadrà, specialmente nelle aree africane e anche balcaniche, oltre che asiatiche e sudamericane, dove si strutturano ingenti investimenti economici cinesi in infrastrutture  e risorse naturali, allorquando la madrepatria sarà messa alle strette  per la penuria interna di acqua. 

Attanagliata dallo smog, dal 2011 la Cina sta tentando di fissare obiettivi di cosiddetta sostenibilità. Da gennaio prossimo entra in vigore il divieto di importazione e vendita nel mercato domestico di carbone ad alta percentuale di ceneri e solfuri, che si ripercuoterà sull’export di carbone metallurgico australiano, che ha proprio quelle caratteristiche. Il carbone è il principale responsabile di inquinamento atmosferico globale (per oltre l’80%) e la Cina, seguita dagli USA, ne è il principale consumatore mondiale. 

Già nel 2008, in occasione delle Olimpiadi, la Cina diminuì autonomamente le emissioni di CO2 con il rallentamento della produzione industriale interna, che ebbe effetti diretti sul sistema  internazionale commerciale e finanziario: forse non è solo una semplice coincidenza se poco dopo il mondo entrò nel baratro della crisi globale. 
Più recentemente a margine del vertice APEC, USA e Cina hanno stretto per la prima volta un impegno congiunto, siglato da Obama e Xi Jinping, per abbattere entro il 2030 i livelli di utilizzo energetico del carbone. Invece l’UE, che dopo USA e Cina è la terza principale responsabile dell’inquinamento atmosferico mondiale, si è impegnata a ridurre l’emissione di CO2 del 40% entro il 2030, con l’impulso delle rinnovabili, migliorando l’efficienza delle reti e le interconnessioni del mercato interno. Ora tutti guardano al COP21 sul clima del 2015 a Parigi, che dovrebbe segnare una tappa decisiva per impegnare tutti i paesi in un accordo  universale sul clima, con un cambio di mentalità: dalla “condivisione del fardello” si passa ad una visione di “opportunità”, che la riduzione dell’inquinamento può comportare in termini di nuovi modelli di produzione e consumo che creano  ricchezza e occupazione.

It is time to move to action (E’ tempo di agire) è il monito del Presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompue del Presidente della Commissione europeaJean-Claude Juncker.L’inquinamento rovina irreversibilmente la salute della popolazione, conducendola fino alla morte, rallenta la fotosintesi clorofilliana, limita la crescita industriale ed economica dei territori, causa destabilizzazione sociale e di conflitti. Ma per stare con i piedi a terra, in un mondo in cui mentre alcuni si abbagliano con le luci di ammiccanti vetrine, altri in strade accanto vivono una vita il cui valore è zero, l’unica speranza è che diventi estremamente chiaro che la questione ambientale è principalmente economica. Inquinare è molto vantaggioso per le speculazioni finanziarie di breve periodo, a cui il destino della vita è indifferente, ma è fortemente antieconomico per gli Stati sovrani nel medio e lungo periodo e letale per l’insieme della collettività. 

NB: Questo articolo è stato pubblicato da  Euromerci.it  il 24 novembre 2014

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