I traffici commerciali reclamano la pace in Afghanistan, crocevia terrestre dell’Asia Centrale

Non ha sbocchi sul mare, ma ciononostante l’Afghanistan è il crocevia terrestre dell’Asia centrale, che interconnette Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagkistan, Pakistan e Cina, che stanno favorendo il processo afghano di pace per la sicurezza, la stabilità economica e lo sviluppo dei traffici dell’intera regione. Pandemia e forti inondazioni hanno ulteriormente dilaniato questa terra e i suoi 38 milioni di abitanti, portati alla fame da 40 anni da guerre e conflitti, e dalla corruzione, che posiziona il paese nella classifica mondiale “Transparency International”, al 173° posto (su 180).

A Doha, in Qatar, si sono aperti ufficialmente i negoziati di pace intra-afghani, che avviano un dialogo storico tra forze governative e telebani, al potere dal 1996 al 2001, che dovrà superare profonde diffidenze e prese di posizione, prima di approdare alla formazione di un governo provvisorio inclusivo, che definisca una via di ricostruzione del paese, mediando tra posizioni teocratiche telebane, che più volte hanno stigmatizzato la democrazia come imposizione occidentale, e quelle del governo del presidente Ashraf Ghani, che invece apre a riforme e cambiamenti. Doha è la cifra di un complesso e paziente processo di mediazione internazionale, accelerato nel 2018 dal nuovo partenariato tra Asia centrale e Afghanistan definito in sede Onu, e seguito subito dopo dalla Conferenza di Tashkent in Uzbekistan – partecipata da Afghanistan, Arabia Saudita, Cina, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania, Giappone, India, Iran, Italia, Kazakistan, Kirghizistan, Pakistan, Qatar, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Tagikistan, Turchia, Turkmenistan, Uzbekistan, Ue e Onu – con cui si formalizzò l’interesse per il processo di pace afghano e la cooperazione regionale, basate su negoziazione intra-afghana, sovranità e integrità territoriale del paese e inclusione politica dei telebani.

Nel contempo, il Pakistan intermediava i colloqui tra telebani e Stati Uniti, che in Afghanistan hanno fatto la guerra più lunga della loro storia costatagli dal 2002 140 miliardi di dollari, sfociati nell’accordo di pace del 29 febbraio 2020 firmato a Doha, sede di rappresentanza telebana, che ha ridotto i militari Usa a 8.600 unità, con ulteriore taglio in novembre, chiuso 5 basi, e previsto il ritiro definitivo dal Paese di tutte le truppe straniere nel 2021. Infine, ad agosto ha organizzato ad Islamabad incontri tra leader cinesi e telebani, spianando ulteriormente la strada ai negoziati intra-afghani, nonostante i continui sanguinosi attentati nel paese, tra cui quello al sopravvissuto vicepresidente afghano Amrullah Saleh, alla vigilia di Doha.

Nonostante lo scenario declinante verso la pace, la popolazione, dunque, continua a vivere drammaticamente nella violenza, con più di 1.200 civili uccisi e oltre 1.700 feriti solo nel primo semestre 2020, per mano telebana o delle forze di sicurezza nazionale, che secondo l’Afghanistan Analysis Network, sono aumentati con il ritiro militare statunitense e la conseguente riduzione dei contributi economici esteri, che coprono il 75% del bilancio pubblico afghano.

Paese tra i più poveri del mondo, nelle sue urgenze ora ha lo sviluppo occupazionale per dare lavoro ai combattenti telebani smobilitati, per non replicare quanto già avvenne 30 anni fa, nel 1992, quando il governo di Najibullah cadde e Kabul fu devastata dalle milizie rivali, portando al crollo dello Stato e allo scoppio della guerra. La miccia fu la perdita degli aiuti esteri, che coprivano il 26% del bilancio del governo, a seguito dell’uscita dei sovietici dal paese nel 1989, che chiusero anche i pozzi di gas naturale, da cui si ricavava il 7% del PIL. Due anni dopo, nel 1991, un accordo Usa-Unione Sovietica sugli aiuti all’Afghanistan tagliava un terzo delle finanze del governo e le truppe afghane rimaste senza paga disertarono verso i mujaheddin, occupando posti doganali e altri luoghi sensibili.

Attualmente, una delle principali fonti di reddito della popolazione è la coltivazione di oppio, di cui l’Afghanistan è principale produttore mondiale con quota stimata 84%, da cui origina il 90% della eroina mondiale. La chiusura di scuole e attività per il coronavirus ha spinto intere famiglie e molti giovani a trovare impiego nei campi di papavero, dove la domanda di manodopera è cresciuta per la penuria di braccianti stagionali, che per paura o per difficoltà logistiche non hanno raggiunto i campi per i raccolti di primavera/estate.

Da uno studio del ministero della Salute afghano la pandemia ha infettato quasi il 35% della popolazione, con picco a Kabul, la popolosa capitale di 5 milioni di abitanti per il 50% contagiata, procurando un arresto della ripresa economica avviata nel 2019, su cui pesa anche la riduzione dei consumi con il ritiro delle truppe militari. Per arginare processi sociali degenerativi che procurano braccia a miliziani e campi di oppio, la Banca Mondiale è intervenuta con 200 milioni di dollari in aiuti, che in totale coprono il 20% del Pil afghano.

Ma risollevare il paese è possibile, come dimostra la provincia meridionale di Kandahar, 10 anni fa tra le più insicure e focolaio miliziano telebano, diventata relativamente pacifica con investimenti in parchi industriali ed agricoltura legittima, che ha trovato particolare sviluppo nella coltivazione di fichi, con raccolto 2020 di circa 250.000 tonnellate, lavorato ed esportato in Cina, Emirati Arabi e India. L’esigenza del paese di sviluppare e strutturare economie sane e sicure coincide con la volontà internazionale di portare a regime la strategicità logistica del paese, di enorme portata per il transito dei rifornimenti energetici, e di recente l’Afghanistan ha firmato un’intesa con il Turkmenistan che accelera la realizzazione di un gasdotto di circa 2.000 km che rifornirà Pakistan e india, per il transito del cablaggio delle fibre ottiche e per la digital silk road cinese.

Nello scacchiere globale delle strategie commerciali, l’Afghanistan occupa un posto determinante per il transito bidirezionale delle merci asiatiche ed europee, la formazione di nuovi traffici import/export, e in prospettiva come nuovo mercato di consumo. Questo colloca il paese al centro di molti progetti infrastrutturali e logistici come CASA-1000, progetto energetico inaugurato lo scorso febbraio che si completerà nel 2023 per l’esportazione in Afghanistan e Pakistan di energia idroelettrica prodotta da Kirghizistan e Tagikistan, e il programma CAREC (Central Asia Regional Economic Cooperation), corridoio di sviluppo economico che coinvolge Afghanistan, Cina e altri 9 paesi, promosso dalla Banca Asiatica di Sviluppo e sostenuto dalla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, FmiBanca MondialeBanca islamica di SviluppoOnu-UNDP.

È oggetto di accordi anche la stretta striscia di alta montagna nell’area meno popolata e più inaccessibile dell’Afghanistan, piagata da emergenze sanitarie, alimentari e di dipendenza da oppio. Lunga 350km tra le cime del Pamir a nord e la catena del Karakorum a sud, il Wakhan Corridor o tetto del mondo, separa il Tagikistan da Pakistan e Kashmir, e si collega all’estremo occidente cinese con l’antico passo di Wakhjir della via della seta, chiuso da Pechino per i conflitti nella regione autonoma uigura dello Xinjiang a maggioranza mussulmana. Nel 2009 con un Memorandum di intesa tra Afghanistan e Cina si stabilì la costruzione di un collegamento con l’autostrada Karakoram, che dallo Xinjiang arriva ad Islamabad, collateralmente strategico anche per il progetto QTTA (Quadrilateral Traffic in Transit Agreement) di ramificazione del corridoio CPEC Pakistan-Cina in Kirghizistan e Kazakistan, attraendo anche Uzbekistan e Tagikistan, che dal 2016 partecipa ad un coordinamento contro il terrorismo con Afghanistan, Pakistan e Cina.

Il Pakistan, che negli anni ha accolto migliaia di profughi afghani, condivide con il Paese 18 valichi di frontiera, dal 2014, anno di ritiro della maggior parte delle truppe NATO, chiusi a fasi alterne per reciproche tensioni ed accuse di sostegno ai separatisti pakistani e agli islamisti afghani. Chiusi del tutto per la pandemia, negli ultimi mesi il Pakistan ha riaperto i valichi di Torkham a nord, coinvolto nella realizzazione del Khyber Pass Economic Corridor finanziato dalla Banca Mondiale con un prestito di oltre $460 mln, e a sud quello di Chaman, su sollecitazione del rappresentante speciale Usa per l’Afghanistan, Zalmay Khalilzad, e della Cina, che ha anche  organizzato un incontro trilaterale per diluire le tensioni tra Kabul e islamabad e rafforzare la cooperazione antiterroristica, a seguito del quale il Pakistan ha riaperto i valichi di Ghulam KhanAngoor Adda e Kharlachi, operativi in H24 6 giorni su 7, per facilitare gli scambi tra i due paesi.

Tuttavia, la lentezza delle procedure doganali pakistane, che blocca camion e container per giorni e settimane, sta facendo spostare molti traffici diretti in India verso l’Iran e il suo porto commerciale di Chabahar, nonostante il Pakistan abbia anche riaperto il valico di frontiera di Wagah con l’India, incluso in un accordo bilaterale del 1965 con l’Afghanistan per il passaggio delle merci. Anche molti dei paesi asiatici ex Unione Sovietica,considerano il processo di pace afghano necessario al proprio sviluppo e l’Uzbekistan si è già candidato a diventare porta export/import sull’Afghanistan, realizzando nel 2016 il Temez Cargo Center, terminal logistico intermodale ferro-gomma a meno di 2 km dal confine.

Nei piani di sviluppo commerciale dell’Asia centrale, l’Afghanistan è parte del corridoio Lapislazzuli, progetto logistico ferro-mare del valore di $2 mld, sottoscritto formalmente nel 2012 da AzerbaigianTurkmenistanAfghanistan e Turchia e nel 2017 dalla Georgia, che interconnette i mercati di Asia centrale, Caucaso meridionale ed Europa sud-orientale. Inaugurato a fine 2018, allaccia direttamente le città afghane di confine Aqina e Towgondi alle reti ferroviarie transfrontaliere dirette ai porti di Turkmenbashi e Baku sul Mar Caspiodi Poti e Batumi sul Mar Neroallo snodo ferroviario turco di Kars e al porto di Instanbul, rompendo oltre 17 anni di isolamento del paese.

Azerbaigian, Turkmenistan e Afghanistan ora stanno concordando una politica dei prezzi unica lungo il corridoio, che consente alle merci afghane di raggiungere l’Europa in meno di 16 giorni, a differenza del transit time di 20 e più giorni dal porto pakistano di Karachi. Da gennaio a maggio 2020, attraverso l’Azerbaigian, l’export afghano ha superato 55.000 tonnellate di merci, confermando la strategicità del Lapislazzuli per il suo rilancio nel commercio globale, controbilanciando la dipendenza dal porto di Karachi, con sollievo dell’India, sempre preoccupata dall’egemonia cinese attraverso il corridoio CPEC. D’altra parte, la Cina è già un importante partner dell’Afghanistan, con cui ha accordi del valore di 7,4 miliardi di dollari per l’estrazione di rame e altri minerali afghani.

Giovanna Visco

Questo articolo è stato pubblicato da ShipMag il 27 settembre 2020

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