Bauxite e alluminio mercati rampanti

Prima che questa commodity venisse scoperta nel XIX secolo in Francia, l’alluminio, molto raro in forma libera sebbene abbondante  nei composti, valeva più dell’oro.   Da circa 200 anni la bauxite, un ossido-idrossido misto di alluminio, in percentuali variabili a seconda dei giacimenti, ha reso possibile l’impiego industriale su larghissima scala dell’alluminio, che è uno dei metalli più malleabili, duttili, resistenti alla corrosione e non magnetici  che si conoscano. Dalla bauxite, dopo la frantumazione e un procedimento separatore a base di soda caustica, che produce pergolato fangoso di ossidi soprattutto di ferro e titanio, si ricava l’allumina che, a sua volta, attraverso l’elettrolisi, si trasforma in alluminio primario, materia base per tutti gli impieghi industriali successivi, da cui si ricavano le leghe leggere.

Secondo la banca statunitense Goldman Sachs,  da 5-6 tonnellate di bauxite si producono circa 2 tonnellate di allumina, da cui si ricava circa una tonnellata di alluminio primario. Questi passaggi possono rendere particolarmente volatili le quotazioni della commodity, che trova impiego  dai giocattoli alle lattine, dai cavi di trasporto elettrico alla componentistica aerospaziale. L’aumento della sua domanda ha spinto lo sviluppo delle miniere di bauxite in tutto il mondo, coinvolgendo governi e comunità locali,, ma le sue riserve principali sono in Australia, Cina, Brasile, India e Guinea.  

L’estrazione di bauxite è in genere a cielo aperto e si approfondisce  fino alle falde acquifere, creando un insieme di gravi problematiche ambientali. Domanda e offerta di bauxite, allumina e alluminio primario si incontrano nelle principali Borse dei Metalli del mondo, con un’alta capacità di condizionare tutte le economie globali. 

La grande risalita del prezzo della bauxite sui mercati comincia circa 11 mesi fa, quando nel gennaio 2014 l’Indonesia, primo produttore mondiale, decide di vietarne l’export, azzerando con un colpo di spugna tutte le previsioni. 

Fino a quel momento la bauxite sovrabbondava sui mercati globali, toccando nel 2013 un surplus di 49,3 milioni di tonnellate (dato Citigroup), anche per il rallentamento dell’economia mondiale dal credit crunch del 2008.

L’offerta mineraria globale già da tempo ne aveva rallentato la poco remunerativa estrazione, intorno ai 52 dollari alla tonnellata il prezzo di vendita sui mercati, espellendo complessivamente circa 40.000 minatori. Il divieto indonesiano di colpo ha sobbalzato l’intorpidimento e rivoltato il mercato come un calzino, cancellando dai mercati il 18% della produzione mondiale di bauxite ed il 65% di copertura del fabbisogno della Cina, primo produttore mondiale di allumina.La Cina estrae bauxite domestica, ma fino a prima del divieto, integrava abbondantemente gli stock di magazzino delle raffinerie di allumina, localizzate principalmente nella provincia di Shandong nell’Est della Cina, con l’import dei carichi navali della commodity provenienti prevalentemente dall’Indonesia. 

Dalla raffinazione di 5-6 tonnellate di bauxite si ricavano circa 2 tonnellate di allumina, che è il quantitativo necessario per ottenere 1 tonnellata di alluminio primario, secondo i calcoli della banca newyorkese Goldman Sachs. Una catena di lavorazione che determina il prezzo finale del metallo, largamente richiesto e impiegato dall’industria manifatturiera (che utilizza anche largamente l’alluminio di scrap). Da una elaborazione di Sanford C. Bernstein, il prezzo dell’alluminio primario è determinato per  quasi il 10% da quello della bauxite e per ben un 1/3 da quello dell’allumina.La rimonta del prezzo della commodity all’indomani del divieto indonesiano, ha fatto sì che dopo solo 10 mesi i dati doganali cinesi sugli import segnassero un crollo della bauxite di circa il 50% rispetto al 2013, e ci si aspetta un consuntivo 2014 di 37 milioni di tonnellate di bauxite importata, numero ben diverso dai 72 dell’anno precedente. Le raffinerie cinesi hanno decisamente rallentato la produzione di allumina – creando un deficit globale di 138.000 tonnellate questo anno e uno stimato di 640.000 nel 2015 – ed intaccato le riserve domestiche, che, secondo una proiezione della Commonwealth Bank of Australia, avrebbero autonomia ancora per circa 6 mesi. L’australiana Alumina Ldt, partecipata a maggioranza relativa dal fondo cinese pubblico di investimento Citic Group Corp e socio del più grande produttore mondiale di alluminio Alcoa, ha ipotizzato che il protrarsi del divieto potrebbe determinare nel 2015 un deficit cinese di materia prima del 5% sul suo fabbisogno, equivalente a di 10 – 15 milioni di tonnellate di bauxite, che potrebbe farne rialzare il prezzo. 

Nel 2015 la domanda globale di allumina, da proiezioni Goldman Sachs, crescerà di 6 milioni di tonnellate, rendendo necessario fermare il rallentamento della produzione cinese. Ma le raffinerie, che a settembre scorso hanno visto il prezzo medio della bauxite in import maggiorato del 16% (60 dollari alla tonnellata) dall’inizio dell’anno, saranno spinte ad approvvigionarsi di bauxite importata più costosa solo a condizione  che il prezzo di mercato dell’allumina aumenti auspicabilmente a circa 380 dollari alla tonnellata nella seconda metà del 2015. Con una previsione 2015 del prezzo della bauxite a 80 dollari alla tonnellata e una maggiorazione di prezzo dell’allumina del 12%, ne potrebbe derivare un incremento del costo di produzione dell’alluminio primario di 130-140 dollari alla tonnellata. Ma al di là di qualsiasi ipotesi, Morgan Stanley colloca l’alluminio al vertice dei metalli in rialzo nei prossimi mesi. 

Alla Borsa dei Metalli di Londra (LME), che nel 2013 registrò la punta più bassa a 1750 dollari, Goldman Sachs aveva previsto un’ascesa del prezzo dell’alluminio a 2.050 dollari alla tonnellata in sei mesi e a 2.100 dollari entro un anno, con possibile deviazione verso l’alto. Ma in novembre l’alluminio sulle principali Borse con consegna a tre mesi già si è attestato intorno ai 2.050 dollari alla tonnellata, guadagnando nel corso dell’anno il 14%. Questo anno l’alluminio è stato il metallo, dopo il nickel, che ha registrato le migliori performance di crescita nelle principali Borse dei Metalli, attestandosi in quella di New York  fino a oltre 2.100 dollari a fine agosto. Tutta questa vivacità ha rinvigorito l’attenzione degli hedge fund sulla commodity, che da tempo era stata abbandonata con cospicue vendite dei derivati che avevano fortemente contribuito a tenerne il prezzo basso. 

Giovanna Visco

NB: questo articolo è stato scritto il 10 dicembre 2014

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