Materie prime tra pandemia e speculazioni

Una delle sfide principali lanciate dalla pandemia è la ripresa economica entro il perimetro della lotta al cambiamento climatico, che presenta ampie zone di incertezza anche per il ripresentarsi della Sars Cov-2 sotto forma di nuove varianti, che indeboliscono le campagne vaccinali e aggrediscono le popolazioni non ancora vaccinate.

In tale contesto, si inquadrano i prezzi delle materie prime (commodity), condizionati non solo dal mercato globale della domanda e offerta, ma anche dalle politiche di ripresa delle banche centrali, dalla forte espansione delle economie asiatiche, dalla debolezza del dollaro, oltre che dai comportamenti speculativi degli investitori.

Principale piazza di scambio, con circa 1/3 delle transazioni globali di commodity e servizi specializzati, è la Svizzera, che da questo settore ricava quasi il 4% del suo Pil, circa 9.800 posti di lavoro, e molte aziende di trading zeppe di capitali. Recentemente il colosso bancario Credit Suisse in un’analisi tecnica sulle dinamiche in atto,  rimarcando il rally delle materie prime, cresciute nel 2021 mediamente di oltre il 21%, con punte che superano il 30%, ha avvertito sull’elevato grado di rischio delle operazioni in commodity, che potrebbero non essere adatte a molti investitori privati, invitando a detenere l’esposizione in portafogli ben diversificati.


A livello globale, il sensibile rialzo dei prezzi delle commodity e della componentistica, stimolato dalla domanda di consumo con l’allentarsi della pandemia, trova importante riscontro nei dati del Baltic Exchange Index, che riporta il gigantesco balzo in avanti dei noli delle navi portarinfuse, che sostengono il trasporto globalizzato delle commodity secche: da 280 a oltre 33.300 dollari al giorno per le navi capesize, e da 1.700 a oltre 34mila dollari al giorno per quelle panamax.

Le decisioni adottate, in particolare dalla Cina, per arginare i prezzi delle materie prime, hanno stimolato i recenti cali dei tassi, ma l’allerta inflazione resta.

Carbone

In tale situazione, appare evidente quanto il processo di decarbonizzazione sia una strada irta di contraddizioni e di scarsi investimenti in ricerca e innovazione e in fonti alternative. Le esigenze  energivore del sistema economico globalizzato sono enormi, ed in crescita anche per il cambiamento climatico, rigenerando paradossalmente la domanda di carbone, che registra importanti apprezzamenti.

In Europa nordoccidentale a inizio giugno il carbone ha raggiunto il suo prezzo più alto da novembre 2011, quando aveva toccato un rialzo del 64%, scrive The Wall Street Journal; mentre il prezzo del carbone australiano, il cui mercato di esportazione principale è l’Asia, è aumentato del 56%, producendo enormi margini di profitto, superiori a quelli verificatisi per altre commodity, come petrolio e rame.

In Cina, la carenza di gas naturale, il maggior consumo di energia con la ripresa delle attività, le scarse precipitazioni, ne hanno fatto aumentare la domanda, più che raddoppiata nell’ultimo anno, per alimentazione delle centrali elettriche. Condizionato anche dalla chiusura di una miniera in Colombia, dalle continue inondazioni in Indonesia che interrompono le attività estrattive, e dalle limitazioni cinesi all’import di carbone australiano, il prezzo del carbone ha toccato il livello più alto degli ultimi 10 anni.

Secondo l’International Energy Agency (IEA), la domanda di carbone, che nel 2014 aveva registrato il suo picco, non tornerà ai livelli pre-covid, ma alcuni osservatori commentano che il suo prezzo potrebbe invece registrare periodi di netta risalita. Questo significa che continuerà ad attrarre investitori: nonostante si vada verso l’energia rinnovabile, secondo alcuni esperti nei prossimi decenni la domanda di carbone sarà ancora forte, sostenuta dalle nuove centrali elettriche a carbone, che in molti paesi, come le Filippine, sono fonte di energia dominante e necessaria per la crescita del reddito pro-capite.

Petrolio

I prezzi in ascesa  del greggio, invece, sono trainati dagli Stati Uniti, il più grande consumatore di petrolio al mondo, e dalla Cina. 

Con l’avvio della stagione estiva, inaugurata dal Memorial Day e incoraggiata dalla campagna vaccinale che sprona gli americani a muoversi, le prospettive di consumo di benzina e diesel sono in crescita, inducendo l’EIA (Energy Information Administration) del Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti a rivedere le previsioni di produzione di greggio a 1,49 milioni bpd (barili al giorno), dai precedenti 1,39 milioni. Mentre anche le scorte diminuiscono, prossime ai minimi di 5 anni fa, il traffico dei veicoli verso i livelli pre-pandemia, la ripresa dei voli e l’allentamento delle restrizioni alimentano i guadagni petroliferi statunitensi, segnati dai rialzi dei future WTI (West Texas Intermediate).

Anche l’attività manifatturiera cinese, scaturita dalla ripresa della domanda globale, ha stimolato la rimonta dei future sul Brent di oltre il 30%, fissati a 70 e oltre dollari al barile.

La decisione dei paesi produttori OPEC+ di aumentare, da maggio a luglio, le forniture di 2,1 milioni di barili di greggio al giorno, nonostante l’aumento dei casi di coronavirus in India, terzo consumatore mondiale di petrolio, ha rallentato la corsa speculativa. In generale, il mercato mostra segnali di fiducia verso la domanda di petrolio, rafforzata dall’aspettativa di ulteriore riduzione delle scorte nel prossimo semestre, sollevando timori inflazionistici da parte delle banche centrali.

La strada accidentata dell’azzeramento emissioni

Secondo Standard and Poor`s, tra aprile e dicembre 2020 il prezzo del petrolio è salito di quasi il 300%, e ulteriori rincari sono previsti per quest’anno, mentre il GNL è aumentato di oltre il 720%.

Con la ripresa delle attività, il loro consumo è in crescita, acuendo le divergenze sul nuovo percorso delineato dalla International Energy Agency (IEA) per l’azzeramento emissioni entro il 2050, attraverso l’interruzione dei nuovi investimenti petrolio, gas e carbone; la chiusura degli impianti a carbone nelle economie avanzate entro il 2030; il divieto di vendita di auto nuove con motore a combustione interna entro il 2035.

Akihisa Matsuda, vicedirettore degli affari internazionali presso il Ministero dell’economia del Giappone, paese nel 2019 al terzo posto in Asia per emissioni di carbonio dopo Cina e India (fonte BP Statistical Review of World Energy), ha rimarcato che il suo governo non fermerà immediatamente gli investimenti in petrolio, gas e carbone, e che il suggerimento IEA non necessariamente è in linea con la politica giapponese, che deve contemperare l’obiettivo carbon neutral entro il 2050 con la protezione della sicurezza energetica ed elettrica del paese.

Anche le principali lobby di commodity energetiche dell’Australia, il più grande emettitore di carbonio pro capite tra le nazioni più ricche del mondo, hanno commentato che non esiste una “taglia unica” per la decarbonizzazione. L’Ad di Australian Petroleum Production and Exploration Association, Andrew McConville, ha osservato che l’IEA non considera le future tecnologie ad emissione negativa e le compensazioni al di fuori del settore energetico, “due cose che potrebbero accadere e che consentiranno lo sviluppo futuro vitale e necessario dei giacimenti di petrolio e gas”. Il produttore indipendente australiano Woodside Petroleum Ldt, sta vagliando un investimento di 11 miliardi di dollari entro questo anno per un nuovo giacimento di gas offshore, mentre il governo australiano, con una mossa che ha definito pragmatica, ha destinato oltre 460 milioni di dollari per costruire una nuova centrale elettrica a gas che integrerà l’energia eolica e solare.

La situazione appare, dunque, confusa, con rischio che, sul piano energetico, si creino forti scompensi competitivi tra paesi. L’IEA, intanto, ha sollecitato l’OPEC+ ad aumentare la produzione, tagliata dopo la caduta verticale dei consumi nel 2020, per smorzare  le speculazioni e rendere disponibili le quantità necessarie a soddisfare la domanda mondiale in ripresa. Anche le piattaforme petrolifere statunitensi sono in graduale crescita numerica, per beneficiare dell’aumento della domanda correlata all’avanzare delle campagne vaccinali, che porta nuovi guadagni globali al petrolio, tanto da far predire a Goldman Sachs una salita del Brent a 80 dollari al barile a metà anno.

Metalli

Con il risveglio delle economie dal Covid-19, anche i prezzi dei metalli come rame, minerale di ferro, nickel e alluminio sono sensibilmente aumentati, raggiungendo massimi storici, tra cui i 10.720 dollari a tonnellata raggiunti dal rame a maggio scorso al London Metal Exchange. Una lievitazione spinta dalla transizione energetica e digitale, su cui tuttavia grava l’incognita della variante pandemica Delta, che producendo instabilità, smorza gli entusiasmi speculativi pronti a detenere grandi quantità di commodity metallifere rastrellate sul mercato, da rilasciare nei massimi di rialzo.

Commodity agricole

Benchè i prezzi delle materie prime agricole restino fortemente condizionati dai cambiamenti climatici che agiscono sui raccolti, il movimento rialzista generale dei mercati non ha lasciato indenni le commodity agricole, soprattutto quelle utilizzate nella produzione di biocarburanti, i cui future hanno raggiunto i livelli alti del 2015, minacciando ulteriormente la sicurezza alimentare di milioni di persone vulnerabilidi almeno45 paesi, argomento questo di discussione nel  G20 in corso, a Matera.

A metà giugno, tuttavia, si è assistito al crollo dei prezzi di mais e soia, dopo l’avvio delle valutazioni della amministrazione Biden sulla miscelazione dei biocarburanti nei prodotti delle raffinerie petrolifere statunitensi, e sull’acquisto dei crediti Renewable Identification Number (RIN), al loro massimo storico, che molti produttori accusano di costi insostenibili.

Anche il prezzo del legname ha subito un tonfo del 40%, dopo essere salito del 66%, spinto dalla forte domanda statunitense sia per la ristrutturazione hobbistica delle abitazioni durante il lockdown che per la costruzione di nuove abitazioni favorite dai bassi tassi sui mutui, lontane dai centri urbani densamente popolati. La ripresa ne ha sgonfiato la domanda, trasformando in eccedenza il continuo aumento di produzione delle segherie. Bloomberg ha osservato che con il picco del prezzo del legname, la costruzione delle abitazioni negli Stati Uniti ha raggiunto costi senza precedenti e la sua discesa, scrive Gary Shilling della A. Gary Shilling & Co, segnala il rallentamento del mercato immobiliare statunitense, che registra un aumento del numero di case in vendita, un calo dei permessi di costruzione, e una discesa di acquisto delle abitazioni.

Effetti sui paesi esportatori

L’aumento globale dei prezzi delle commodity ha tuttavia comportato benefici a paesi esportatori come l’India, che ha visto il valore del suo export crescere del 27%, pari a 4 miliardi di dollari. Il 50% di tale incremento è determinato dal minerale di ferro, per l’86% esportato in Cina, che da 4 anni è la seconda destinazione dell’export indiano soprattutto di materie prime, balzando dal 5,3% a quota 7,3%. L’aumento dei prezzi delle materie prime, ricadendo sulla produzione di semilavorati e laminati, ha generato circa 1 miliardo di dollari aggiuntivo anche al valore del loro export.

I rincari, da calcoli di Reuters, hanno causato al più grande consumatore di metalli al mondo, la Cina, aumenti di prezzo di materiali strategici come boline d’acciaio, acciaio laminato a caldo, cemento  e rame di oltre il 30%. Da tempo la Cina si è concentrata sulle produzioni ad alto valore aggiunto, importando progressivamente materie prime ed abbandonando settori ad alta intensità di lavoro, come il tessile, pelletteria e  plastica.

Altro effetto sui paesi esportatori di commodity in avanzata fase di campagna vaccinale, è stato l’apprezzamento delle loro valute sul dollaro, come per il dollaro canadese e la corona norvegese, mentre quelle dei mercati emergenti al momento sono ostacolate dal lento procedere delle vaccinazioni. Bloomberg Commodity Index indica una stretta correlazione tra valute e commodity per il peso cileno e quello colombiano, il rublo russo, il dollaro australiano e neozelandese. Per contenere le fluttuazioni delle valute, che incidono sulla volatilità dei prezzi delle commodity e dei semilavorati, il mercato sta utilizzando derivati digitali, che fissano il tasso di cambio ad una data stabilita e concordata, e il finanziamento delle fatture in qualsiasi valuta, con effetti positivi anche sulle condizioni di acquisto, potendo pagare prima i fornitori.

Ad influire sull’aumento dei prezzi anche gli interventi espansivi di politica monetaria  e fiscale di banche centrali e governi. Per supportare la domanda e ridurre i costi di trasporto e immagazzinaggio delle merci complicati dalla pandemia, hanno iniettato liquidità su famiglie e imprese, e favorito prestiti con tassi di interesse vicini allo zero.Ma ora a preoccupare è l’emersione dell’inflazione legata al boom dei prezzi delle commodity, la cui domanda è collegata alla ripresa dei consumi. Un fenomeno definito dalla Fed e dalla Bce di carattere transitorio, ma da monitorare attentamente visto il grado ancora elevato di incertezza per gli effetti della variante Delta sulla ripresa economica globale.

Cina

Ai rincari delle commodity, la Cina ha risposto con una serie di azioni di contenimento dei prezzi e delle speculazioni. Tra le prime, la richiesta alle acciaierie e ai commercianti ed intermediari di materie prime di ridurre le scommesse rialziste sui mercati dei futures locali per materie prime altamente volatili, come minerale di ferro e carbone.

Alle imprese statali ha invece ordinato di controllare i rischi e limitare l’esposizione sui mercati d’oltremare, per frenare l’eccessiva speculazione e il surriscaldamento dei prezzi.

Recentemente, invece, ha annunciato il rilascio sul mercato di parte delle riserve statali metallifere, senza specificarne i volumi, che saranno vendute in lotti a fabbricanti e produttori. Con questa mossa mette in campo la sua strategia di accumulo di materie prime per fronteggiare i picchi di prezzo, sperimentata anche per raffreddare l’inflazione da carenza di carne, immettendo nel mercato grandi quantitativi di carne di maiale. In questo caso, invece, sarà il primo rilascio di rame dal 2005, e di alluminio e zinco dal 2010, allo scopo di aumentarne l’offerta a breve termine, ed inviare un segnale ribassista al mercato. All’annuncio della decisione è subito seguita la reazione ribassista dei mercati internazionali dai picchi di maggio, sulle piazze di Londra, Shanghai e Singapore, con – 20% per il minerale di ferro e – 7% per il rame. Sono diminuite anche le quotazioni cinesi in Borsa delle imprese del settore, mentre il sottoindice dei metalli e delle miniere australiane ha registrato la sua più grande perdita in quasi un mese.

La lotta della Cina contro le speculazioni al rialzo sulle materie prime, volta ad impedire il danneggiamento della economia con il trasferimento dei costi sui consumatori, è diventata ancor più determinata dopo che  il rincaro delle materie prime ha intaccato i profitti industriali cinesi, che in aprile hanno segnato un aumento del 57% su base annua, in arretramento rispetto ad oltre il 92% del mese di marzo, che segnala la difficoltà delle imprese ad assorbire i rincari delle commodity. Ma le reazioni agli aumenti cambiano a seconda dei settori, come nel caso della raffinazione, ma soprattutto dell’estrusione dei metalli non ferrosi e delle fibre sintetiche, che hanno vissuto un quadrimestre dai profitti stellari, incrementati rispettivamente del 484% e 650%.

Tuttavia gli sforzi per frenare le pressioni inflazionistiche non hanno certezza durevole, tanto più che i prezzi dei metalli di base sono ormai attestati su fasce molto più alte, governate dal vasto libero mercato globale della domanda e dell’offerta, che rende molto arduo se non impossibile, il contenimento dei prezzi nel medio e lungo periodo. 

Infine, Pechino è intervenuta anche sul piano bancario e valutario: la CIBIRC (China Banking and Insurance Regulatory Commission) recentemente ha vietato alle banche del Paese di vendere agli investitori retail prodotti collegati alle commodity, e chiesto di portare all’azzeramento la massa dei prodotti in circolazione.

L’obiettivo è duplice: ridimensionare le criptovalute, vere  e proprie commodity finanziarie, stringendo la vite dell’ammissibilità dei pagamenti; ed aumentare i controlli per impedire gli accaparramenti speculativi di commodity.

Da aprile in poi, il rally delle commodity è accompagnato con un marcato apprezzamento dello yuan nei confronti del dollaro, collegato al tentativo delle autorità monetarie cinesi di di ridurre l’impatto degli aumenti di prezzo delle materie prime importate, pagate prevalentemente in dollari.

Tutte misure che cercano di traguardare risultati di relativa stabilità, in vista della celebrazione del centenario della fondazione del Partito Comunista, domani primo luglio.

                                                                                                        Giovanna Visco

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