Le complicazioni di confine dell’Arabia Saudita

Lungo il suo confine nord con l’Iraq, il Regno saudita sta costruendo una barriera fisica di 800 km di difesa contro l’ISIS. Come riporta The Telegraph, sarà simile ad un muro di una fortezza, con stazioni militari, torri di avvistamento e comunicazione, telecamere, radar e 240 veicoli armati per il pattugliamento mobile. Fossati e recinzioni in acciaio a triplo strato si estenderanno dalla città di Turaif, vicino al confine con la Giordania, fino a quella di Hafar al-Batin, prossima al Kuwait. E mentre i lavori progettati nel 2006 quando l’Iraq era in piena guerra civile, procedono da settembre 2014,  Riyadh ha intanto aumentato di 30.000 unità l’esercito alla frontiera.

A determinare i sauditi, l’abbandono delle caserme di migliaia di soldati iracheni agli inizi dell’estate scorsa, che permesso il controllo di Mossul da parte dell’ISIS. La separazione fisica tra i due paesi servirà anche ad impedire le ondate di rifugiati e la penetrazione nel territorio saudita di commandi terroristici, che recentemente ha subito un attentato ISIS iracheno, in cui è rimasto ucciso il Generale comandante delle operazioni di confine della zona Nord dell’Arabia Saudita, Oudah al-Belawi, destando molta impressione nel paese.
Contemporaneamente, come sostengono alcuni osservatori, il regno saudita sta supportando gruppi di jihadisti moderati e gli scioperi in Siria ed Iraq contro l’ISIS, nel tentativo strategico di bloccare il processo di estremizzazione del Medio Oriente.

Quasi a comprimere il paese arabo più grande del continente asiatico, al confine opposto del Regno, all’estremo Sud, per oltre 1800 km corre la linea di separazione dal paese più povero e più turbolento della penisola arabica: lo Yemen. Qui la costruzione di una lunga barriera fisica iniziò nel 2003, a soli 13 anni dalla unificazione dello Yemen del nord con il vasto territorio meridionale, ex colonia britannica. Ma dopo pochi mesi e con 75 km già realizzati, il governo yemenita ne determinò la sospensione, per violazione dell’accordo sui confini tra i due paesi del 2000, a cui si era giunti dopo oltre 65 anni di conflitto. I primi 42 km di barriera distavano a meno di 100 metri dalla linea di confine, cancellando la zona neutrale demilitarizzata di 21 km per versante, a tutela della libertà delle tribù nomadi. I lavori ripresero nel 2008, nella provincia di Jazan, ponte di passaggio di migliaia di emigranti clandestini somali, etiopi e yemeniti, di traffici di bambini yemeniti e di qat, una droga proibita nel regno saudita. Ricavato dalle foglie di una pianta originaria del Corno d’Africa, il qat è una droga leggera che si mastica o si beve. Nello Yemen, come in Etiopia, Somalia e Djibouti, la sua coltivazione costituisce un’importante voce economica e da sempre è consumata dalle tribù in tutte le occasioni di festa e di incontro, come il vino per gli occidentali.

L’attuale situazione di crescente instabilità politica nello Yemen ha spinto il regno saudita a proseguire l’opera di recinzione del confine. Ma, come riporta al-Yaum, nonostante si stia lavorando “giorno e notte”, ci vorranno ancora alcuni anni per il completamento dei lavori. Il territorio montuoso, in cui si alternano cime, profonde valli cosparse di villaggi yemeniti e di selvaggi wadi ricchi di folta vegetazione, rallenta il lavoro dei bulldozer della Saudi Binladen Group, la compagnia saudita creata da un emigrato yemenita, genitore del fondatore  di al-Qaeda. La società, che ha il contratto esclusivo di costruzione, sta realizzando anche una nuova strada, per consentire alle guardie di frontiera rapidi spostamenti di pattugliamento. D’altra parte è proprio dal nord Yemen che è partita l’espansione militare e politica degli houthi, ribelli sciiti sorti dall’imanato di Zaydi e da qualche anno sostenuti dall’Iran. Con l’alleato libanese Hezbollah, l’Iran sta rifornendo di armi e di soldi l’espansione degli houthi. Da mesi hanno preso il controllo della capitale Sanaa e stanno contendendo quello del porto di Hodeida sul Mar Rosso, vanificando anni di sforzi sauditi per stabilizzare lo Yemen nella propria orbita. Prima della Primavera araba nel 2011, i sauditi avevano sostenuto le campagne militari del Presidente Ali Abdullah Saleh contro gli houthi, combattendoli precedentemente lungo i confini; per contrastare il diffondersi nell’Islam delle correnti ideologiche repubblicane, durante il regno di re Faisal (1964-75), un monarca determinante nel processo di modernizzazione e di accentuazione statalista della monarchia saudita.

Con la primavera araba, l’Arabia Saudita ha sostenuto e finanziato lo Yemen, spingendolo verso riforme moderate di stabilizzazione del paese, con oltre 3 miliardi di dollari, depositando circa 1 miliardo di dollari nella banca centrale yemenita per mantenere il paese solvibile. Secondo The New York Times, i miliardi di dollari spesi nello Yemen dalla Arabia Saudita dal 2010, avrebbero come obiettivo principale la “storpiatura” della forma repubblicana dello Stato e nel 2012 la diplomazia saudita è stata determinante per le dimissioni del Presidente Saleh a favore di Hadi , ora sostituito da Mohammed Ali al-Houthi,  a seguito della presa di Sanaa da parte degli Houthi. Ma lo Yemen è anche territorio di Al-Qaeda, noto nella penisola arabica con la sigla AQAP. Il Ministro degli Interni del regno saudita, il principe Muhammad bin Nayef, nipote del re Salman e da questi designato come suo successore dopo Muqrin (vedi), ha svolto un ruolo di primo piano insieme a Washington nella campagna contro AQAP nello Yemen, che per tutta risposta ha più volte tentato di assassinarlo. A intricare ulteriormente la situazione, nel territorio yemenita hanno fatto la loro apparizione le prime roccaforti ISIS.

L’insieme di tutto questo rende la situazione politica dello Yemen più mutevole delle dune del deserto. Houthi e AQAP sono tra loro nemici giurati, e nel contempo, come in Iraq, lo shiita Houthi pro-iraniano si oppone alle ideologie estremiste sunnite sia di ISIS che di Al-Queda. Tutto questo si innesta nella complessa rete di relazioni delle tribù arabe, generando una forte instabilità, ma anche un forte dinamismo, con contrasti tribali che si stanno avvitando sul dualismo contrapposto islamico sciiti-sunniti, che a loro volta hanno profonde differenze sul piano fattuale dell’islamismo. Nello Yemen la maggioranza è sunnita, come sunnita è l’Arabia Saudita, ma l’espansione degli Houthi sta creando una polarizzazione a forti tinte settarie, incoraggiando una guerra di procura saudo-iraniana. Come riporta al-Manar, l’Arabia Saudita è guardinga e teme un’eventuale occupazione houthi del Maareb, il gevernatoriato più ricco dello Yemen. Pieno di petrolio e produttore di energia elettrica, nel Maareb si sta manifestando un nervosismo crescente, secondo alcuni collegato alla opposizione delle tribù locali al controllo houthi.

La percezione di alcuni sauditi è che il paese arabo più aperto dell’Islam, soprattutto durante lo Haj, quando i pellegrini arrivano da ogni parte del mondo, custode delle due città sante di nascita  e di morte del profeta Maometto, sia circondato da mandatari dell’Iran, che ormai ha nella propria sfera di influenza effettiva Baghdad, Damasco, Beirut e Sanaa. Di fatto, l’alleanza sciita Houthis-Iran ha messo in crisi il sistema tradizionale di controllo e sicurezza dei confini con lo Yemen. Come espresso da una guardia saudita a Reuters “la vecchia tecnica di comprare il silenzio delle tribù al confine non funziona più, perché l’Iran sta pagando Houthis. Tutto ciò che possiamo fare è rendere più forti le nostre difese”, in contrasto assoluto con gli altri confini del Regno, più o meno definiti ma pur sempre liberi per le popolazioni che vivono spostandosi da un versante all’altro da immemore tempo, avendo scelto di resistere al processo di urbanizzazione crescente della popolazione arabica. Partendo dal versante Ovest di questo immenso paese, la linea di confine di 728 km con la Giordania, è definita dal 1965, suggellata da uno scambio territoriale di una porzione desertica giordana con una striscia costiera saudita nei pressi di Aqaba, unico porto giordano.

Alla parte opposta, sul versante est, nel 1971 l’Arabia Saudita si spartì con il Kuwait una zona neutrale comune, sebbene restino aperti contenziosi di sovranità sulle isole Qaruh e Umm al Maradim, con un accordo di equo sfruttamento delle risorse petrolifere. Quando nel 1990 Saddam Hussein, dopo aver accusato il Kuwait di sottrarre illegalmente petrolio dal campo di Rumaila mediante la perforazione orizzontale, e avere invaso il Kuwait dopo il rifiuto del paese di cancellargli il debito di 65 miliardi di dollari contratto per la guerra contro l’Iran, l’Arabia Saudita ebbe un ruolo determinante. Non solo accolse l’estesa famiglia reale del Kuwait e oltre 400.000 rifugiati, ma partecipò attivamente alla Guerra del Golfo contro l’invasione militare irachena, condotta dagli USA. La presenza ed il ruolo statunitense da quel momento ha avuto conseguenze politiche di enorme portata negli equilibri interni del mondo arabo.

Dopo i 222 km di confine con il Kuwait, il regno saudita si tocca per 60 km con il Qatar, con il quale ha definito i confini nel 2001. A seguire con gli Emirati Arabi Uniti (457 km) e poi con l’Oman (676 km), con cui, tuttavia, ancora non si è giunti ad una definizione precisa della linea di confine.Poi c’è il mare, con 2.640 km di costa, che bagna il Golfo Persico, ad Est tra il Kuwait e il Qatar, dove di fronte spadroneggia la nemica shiita Iran, dotata di moderne navi lanciamissili di produzione cinese-iraniana. Sul versante Ovest opposto, invece, il Mar Rosso, famoso sulle cartoline dei turisti, ma anche per la pirateria, per i barconi carichi di immigrati irregolari, per i traffici di armi e di terroristi.

L’insieme di tutti questi elementi hanno spinto il regno saudita ad una crescita sempre più cospicua della spesa militare. Come riporta The Guardian, l’Arabia Saudita è un cliente importante per il terzo esportatore mondiale di forniture militari, la Germania. Nel 2013 il Regno saudita ha acquistato armi dalle aziende tedesche per 360 milioni di euro. Nel 2014 De Spiegel rivelò l’esistenza di un piano di esportazione tedesco di circa 100 di navi di pattugliamento, valore di 1,4 miliardi di euro, in Arabia Saudita, che così intende rafforzare la protezione delle sue coste. Tuttavia, problematiche interne alla Germania di opposizione all’armamento dei paesi mediorientali e la valutazione negativa sulla stabilità del regno saudita subito dopo il decesso di re Abdullah sembrava che avessero determinato  la Cancelliera Merkel a sospendere le trattative., ma poi a sorpresa è uscita la notizia a fine gennaio della firma della commessa con il cantiere tedesco Lürssen, creando un certo disappunto della Francia, che ha visto preferire il parternariato italiano del cantiere Fabio Buzzi Design, al suo. Ma intanto, la joint francese DCNS et Piriou era già stata selezionata dai sauditi per una commessa di costruzione di una flotta militare patrol di 25-30 unità, del valore complessivo di €500 milioni. Il contratto dovrebbe essere siglato entro questo annoNel 2014 l’Arabia Saudita ha costituito il mercato di armi più importante del Regno Unitoda cui negli ultimi 3 annha importato materiale bellico per un valore di 2 miliardi di sterline, ed è il secondo cliente del fabbricante BAE System

Nella storia resta l’accordo nel 1985 con i sauditi, stipulato da Margaret Thatcheril contratto di Al-Yamamah, che prevedeva la fornitura di Tornado, elicotteri, munizioni e carri armatin cambio di 600.000 barili di crudo al giorno. Nel 2001 furono aperte inchieste in Inghilterra di sospetta frode, fermate da Tony Blair per timore di rompere l’alleanza con i sauditi. Attualmente il governo britannico sta negoziando un contratto da 5,9 milioni di sterline per un expertise sulle carceri. Molti inglesi si stanno chiedendo in che cosa potrà mai consistere. Ma tutto questo è indissolubilmente collegato al petrolio. 

Giovanna Visco

NB: questo articolo è stato scritto il 14 febbraio 2015

Foto di copertina AFP

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *