Burkina Faso: siccità, sfruttamento e democrazia

La siccità non ferma le amministrative
Nonostante la più grave siccità che la memoria del Paese ricordi, il 22 maggio scorso nel lasso di 12 ore (6,00-18,00) la popolazione della Burkina Faso ha votato in 365 città e villaggi per le elezioni amministrative. 

Dopo la scacciata a furor di popolo di Campoirè, il governo di transizione aveva esautorato tutti i consigli comunali del Paese, congelati per oltre 20 anni dal vecchio regime, sostituendo i sindaci con prefetti pro-tempore e fissando a fine gennaio la data del rinnovo elettorale a suffragio universale, poi slittata a maggio a seguito del sanguinoso attentato jiadista nella capitale Ouagadougou all’inizio dell’anno.

Da fonte Xinhua su dati ufficiali CENI (Commission électorale nationale indépendante), ente indipendente che organizza e tutela la correttezza e la trasparenza del sistema elettorale burkinabè, durante la campagna elettorale, autorizzata per due settimane, sono scesi in campo complessivamente 156.693 candidati e 85 formazioni politiche, contendendosi la conquista di 19.212 seggi amministrativi.

“Suggerisco che ogni persona eletta lavori davvero con giustizia, pace, gioia e solidarietà, perchè il Paese possa andare avanti“ è il commento rilasciato ad AFP da un anonimo elettore all’uscita del seggio, uno di quel 49% (quota di non trascurabile rilevanza politica per il paese) di 5,5 milioni di  iscritti nelle liste biometriche del CENI, che è andato a votare. 

Gli elenchi biometrici si basano su censimenti villaggio per villaggio, anche se non riescono ad essere esaustivi per le pessime se non inesistenti condizioni infrastrutturali, e per la tendenza della popolazione a spostarsi per acqua, terra, lavoro e per quanto occorre alla sopravvivenza. 
Un pc portatile nel seggio e il certificato di nascita del votante sono gli elementi basilari che permettono l’esercizio  elettorale democratico del paese. 

La popolazione e il lavoro minorile

Con una media di 63 abitanti per km2 e 54 anni di speranza di vita alla nascita, la popolazione della Burkina Faso nella realtà  è frammentata in villaggi anche al di sotto  dei cento abitanti o in piccole città di qualche migliaio di persone, in aree prive di infrastrutture e sempre più aride per il cambiamento climatico dei venti monsonici. 

Le persone che vivono nel paese sono oltre 18 milioni, per quasi la metà (46%) al di sotto dei 15 anni e per il 64% analfabeta. 
Come ricorda AFP, dall’ultimo dato rilevato nel 2006 dall’Agenzia sul lavoro minorile ENTE, il 60% dei bambini e delle bambine compresi nella fascia di età 6-15 anni sono raccoglitori di cotone, cavatori di pietra, minatori, venditori di strada. 

Essi costituiscono l’esercito di una manovalanza disperata che non conosce il diritto all’infanzia, che vive in un Paese che ha il 44% dei suoi cittadini al di sotto della soglia della povertà. 

Nella capitale, Ouagadougou, bambini di 7 anni lavorano almeno otto ore al giorno per sei giorni o anche per tutta la settimana, portando vassoi carichi di pietre sulla testa, che cercano di vendere per 50 centesimi di dollaro (300 franchi africani – CFA). Se andrà bene, a fine giornata, metteranno insieme 2 dollari.

L’organizzazione amministrativa ed i risultati elettorali

Amministrativamente, gli enti locali dell’ex colonia francese, sono organizzati in Comuni, formati da insiemi di villaggi, Province e Regioni, e le recenti elezioni comunali sono state strutturate attraverso 17.938 sezioni, raggruppate in 9.299 distretti elettorali. 

L’unico grande agglomerato del Paese è la capitale Ouagadougou, con circa 2 milioni di abitanti in continua espansione al tasso annuo del 6%. 
Questo enorme grumo demografico, rispetto a tutto il resto del paese, assorbe la gran parte delle risorse e dei servizi dello Stato, disequilibrando ulteriormente la distribuzione della ricchezza nei territori, che affrontano gravi emergenze quotidiane di povertà e malattia, e stimolando la crescita migratoria verso la capitale di centinaia di migliaia di persone all’anno prive di tutto. 

Per i prossimi 5 anni Ouagadougou sarà amministrata dal Mouvement du Peuple pour le Progrès (MPP), partito di appartenenza del Presidente Kabore, che è risultato vincitore in gran parte del Paese, conquistando 11.217 consiglieri e la maggioranza nel 75% dei comuni.
Da fonte ufficiale, ha guadagnato il secondo posto con quota 16% dei seggi (3.091 consiglieri) l’Union pour le Progrès et le Changement – UPC di Zephirin Diabré, mentre in terza posizione a quota 11% (2.144 consiglieri) si è piazzato il Congrès pour la Démocratie et le Progrès – CDP, partito dell’ex despota Compaoré. Il resto dei voti si è polverizzato tra 40 partiti e gruppi, molti dei quali hanno ottenuto un solo seggio in un solo comune. 

Il ciclo dei monsoni e l’acqua

Da marzo a giugno in Burkina Faso si affronta la ciclica stagione secca monsonica, che questo anno è stata quanto mai aspra, con temperature di  oltre 44°C, scatenando la sete di acqua in tutto il paese. 

Come riportato da alcuni media, tra cui Al Jazeera ed AP, per la prima volta anche i quartieri più ricchi di Ouagadougou sono rimasti all’asciutto, mentre il prezzo di un barile di acqua aumentava vertiginosamente più di 20 volte il suo costo normale.
Chi ha potuto, munito di grossi contenitori su ciclomotore, bicicletta o a piedi ha percorso decine di chilometri in cerca di un pozzo di rifornimento.

A Burkina Faso l’acqua non è un bene pubblico.

Molti privati possiedono un proprio pozzo e mercanteggiano l’erogazione dell’acqua che dispongono, trasformando la sete in vero e proprio business. 
Nella capitale l’acquedotto pubblico oltre a rifornire solo parte della città, è obsoleto ed insufficiente a fare fronte alla crescita dei residenti. 

La maggioranza delle abitazioni, quelle dei poveri, è priva di acqua potabile in casa. 
Con il prosciugamento dell’acqua anche l’energia elettrica ha subito black out e forniture a singhiozzo, che il Governo conta di potenziare adeguatamente nella capitale già dall’anno prossimo, grazie al completamento della diga di Ziga II, a 40 km di distanza.

In tutto il Paese, donne e bambini hanno fatto lunghe interminabili file di ore per procurarsi un po’  di acqua dai pochi pozzi pubblici o dai camion cisterna statali. 

Il cambiamento climatico

Il cambiamento climatico è ormai un’emergenza drammaticamente chiara in Burkina Faso così come in tutti i paesi subsahariani. 

Con la sua prima missione ufficiale a New York, il 22 aprile scorso, come riportato da L’Observateur Paalga, il capo del governo burkinabè Paul Kaba Thiéba ha firmato all’ONU l’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico, che non ha ancora raggiunto il quorum necessario a diventare effettivo e solo recentemente anche Cina e USA lo hanno ratificato. 

Thieba sottolineando che Burkina Faso è interessata a sviluppare l’impiego delle tecnologie green, ha dichiarato che il Paese “è sensibile alle problematiche del clima e ha deciso di preservare il pianeta che è la nostra casa comune. A livello internazionale ci sono progressi, come l’adozione del principio di tassazione del carbonio e la costituzione di un fondo di $100 miliardi di dollari entro il 2020, per i paesi meno sviluppati che devono sforzarsi a inquinare di meno”.

Il traffico di asini

Ma in Burkina i guai non giungono solo dall’economia inquinante di altri paesi, ma anche da consumi scellerati di altri popoli, che con la prepotenza del libero mercato globalizzato, continuano a depauperare le poche risorse esistenti di una delle aree più povere del mondo.

È il caso del traffico di asini balzato alle cronache di Burkina Faso dopo che il l’impianto di macellazione della società franco-cinese Miglior Trade Center, nel piccolo villaggio di Balole a circa 25 km dalla capitale Ouagadougou, è stato letteralmente fatto chiudere dal furore popolare. 

Come riporta AFP, la struttura costruita nel 2011 una volta macellati gli  asini, ne esportava le pelli in Cina e la carne in Vietnam. 
Gli abitanti di Balole hanno denunciato che  tutti i giorni l’impianto “riceveva almeno quattro camion pieni di asini provenienti da Burkina, Mali e persino dalla Mauritania, massacrando quotidianamente 150-200 capi”. 

Dopo una ispezione sul posto che ha rilevato più di 85 carcasse esposte all’aria aperta “in piena decomposizione”, la società dell’impianto di Balole è stata multata di una cifra importante rispetto all’economia del paese (ma certo non dei proprietari del business): 15.000 euro (1 milione di CFA), che non rende giustizia al massacro dei poveri animali e non appiana i gravi danni ambientali procurati al territorio. 

A parte l’aria ammorbata ed irrespirabile, le prime piogge lavando le carcasse ne hanno trasportato le tossine nei pozzi e nei corsi d’acqua, usati per bere e per irrigare.  
I veleni hanno intossicato le persone  e fatto appassire le coltivazioni di pomidoro, cavoli, melanzane, principali fonti  alimentari ed economiche del villaggio.  
Armati di bastoni e maceti i contadini e a popolazione locale si sono determinati ad impedire per sempre la macellazione a Balole.  

Ma nel paese, la macellazione di asini è a dir poco allarmante. 
Dai dati governativi, in meno di sei mesi su una stima di 1,5 milioni capi, sono stati macellati più di 45.000 asini, e, come riportato dal quotidiano Sidwaya, secondo la dogana della Burkina tra ottobre 2015 e gennaio 2016 sono volati ad Hong Kong 19 tonnellate di pelli d’asino, il cui prezzo è balzato da circa 3 euro (2.000 franchi CFA) a 40 euro (30.000 CFA) e poi  a 76 euro (50.000 franchi CFA) a pelle. 

Il prezzo di un asino vivo, invece, nelle zone rurali in due anni è passato da 50.000 a 70.000/90.000 franchi CFA. 

Per preservare la popolazione equina del paese, alla luce delle inquietanti cifre ufficiali che mostrano un export 2015 di pelli passato da 1.000 pezzi nel primo trimestre  a oltre 18.000 nell’ultimo, il 3 agosto scorso il governo ha adottato un decreto di regolamentazione della macellazione e ha vietato l’esportazione di asini, cavalli e cammelli. 
La riserva di asini della nazione è fondamentale, perché gli asini sono il principale mezzo di trasporto nel paese, che la globalizzazione neocolonialista e il profitto scellerati stanno mettendo a dura prova.

Giovanna Visco

NB: questo articolo è stato scritto il 18 settembre 2016

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